Vincent Maria Brunetti
Quello che vorrei raccontarvi sembrerebbe una fiaba che comincia con un: “C’era una volta.” Ma, in realtà, questo luogo fantastico esiste per davvero e il protagonista è un artista che vive a Guagnano, a 20km da Lecce. Si scorge in lontananza, nascosto tra vigneti e alberi di ulivo, un luogo “sacro” e di pace, dove l’arte prende vita: la casa di Vincent Maria Brunetti, meglio nota come VINCENT CITY. L’eremo è una via di mezzo tra le architetture di Gaudì e la casa di Hansel e Gretel: un luogo fuori dal tempo, dove l’arte diventa balsamo per l’anima. Qui la bellezza è ricca di colori, sfumature, dove ogni linea dà volto ai sentimenti dell’artista, ricamando le sue idee, i suoi pensieri, incastonati come coloratissime gemme lungo le pareti di ingresso. Un luogo voluto per raccontare il mondo interiore del suo fantasioso creatore: mosaici, icone, sculture e quadri decorano l’edificio.
Vita di Vincent Maria Brunetti
Vincent Maria Brunetti, uno dei personaggi più emblematici del panorama artistico meridionale, denominato anche la “libellula del sud” è uno dei pochi pittori, che ha fatto della sua vita una protesta, che è riuscito a svincolarsi dal “sistema” e dalla morsa dei galleristi, critici ed associazioni artistico culturali, costruendo il suo piccolo regno.
Artista, pittore, scultore nato a Guagnano (LE) il 3 Dicembre 1950, fu colpito in giovane età dalla poliomielite riesce a recuperare le forze tramite la cura di Mariano Orrico, ideatore di “Lamina Bior”, secondo il quale ogni genere di malattia può essere sconfitta con il principio dell’elettricità statica. Proprio grazie a questo metodo Brunetti ha potuto recuperare la sua gioia di vivere, che oggi riesce ad esprimere tramite la sua danza propiziatoria. Brunetti è stato artista bohémien a Milano, dove nel 1970 gli è stato conferito l’Ambrogio d’oro. La sua arte è stata apprezzata e incoraggiata da Giacomo Manzù e Arnaldo Pomodoro che lo ha accolto come apprendista nella sua bottega. Si è poi raccolto in ritiro spirituale durante il quale ha avuto un’ispirazione e, tornato nel Salento, nel 1993 ha costruito Vincent City.
La costruzione della struttura ha causato non poche difficoltà dal punto di vista burocratico e l’artista è stato arrestato per abusivismo edilizio. La condanna non lo ha però fermato e la sua “casa” risulta attualmente un cantiere in continua evoluzione. Qui l’artista accoglie mensilmente centinaia di appassionati e curiosi che, oltre a visitare la casa-museo, acquistano le sue opere e godono spesso dello spettacolo che l’estro e la sana follia del maestro regalano. Il suo sorriso coinvolge e cattura. Sembra che sprigioni un’intensa energia, l’energia di cui Vincent si dice posseduto dopo la poliomielite. Molti lo definiscono un artista eccentrico ed esuberante, alcuni lo considerano un abile imprenditore, altri non approvano la sua condizione abusiva, ma di certo Brunetti risulta un personaggio sopra le righe attorno alla cui figura aleggia un alone di fascino che è la chiave del suo successo.
Intervista
Visitare la casa museo e conoscere Vincent, un personaggio folle e straordinario, è stata un’esperienza unica. Un incontro con Vincent Maria Brunetti non è solo un incontro con un artistico eclettico e stravagante ma è l’incontro con un’anima. Dopo aver vissuto e lavorato per più di 20 anni a Milano, ha deciso di abbandonare la vita corrotta e mercificata della metropoli, per fare ritorno nel suo luminoso Salento, dove oggi conduce una vita eremitica. “Ho sentito il bisogno di isolarmi per capirmi meglio, per conoscere e per dare, così, il meglio di me agli altri…sotto forma di arte”. Completamente disinteressato al mondo esterno, l’unico obiettivo di Vincent è quello che la gente che frequenta la sua casa, goda della bellezza. Ogni giorno è un giorno aperto alla felicità, un’avventura giornaliera per un viaggio che, come lui stesso mi ha confidato, si concluderà nel 2090 (quando se ne andrà volando!).
1. Chi é Vincent Maria Brunetti? Come è nato questo nome?
“Il nome Vincent è nato (mi è stato attribuito) da un gallerista di Milano, Roberto Margara, che lo conoscevo da quando avevo 23-24 anni, poi ho avuto una crisi esistenziale a seguito ad un incidente stradale e da lì, mi allontanai da Milano per molto tempo. Passato questo brutto periodo, ritornai e reincontrai questo gallerista, il quale mi promise che avremmo fatto una mostra di quadri. Lui mi disse che per la mostra sarebbe servito un altro nome: Vincent (molto probabilmente in memoria del grande Vincent Van Gogh). La mostra non si fece più, ma quel nome mi rimase nel cuore. Da allora tutte le persone che abitavano vicino casa mia, i familiari hanno iniziato a chiamarmi così! é nato tutto per gioco…e adesso non posso più tradire questa realtà!”
2. Come é nata l’esigenza di costruire l’eremo, la sua casa?
“Dopo che ho avuto la crisi esistenziale, ho fatto 10 anni di vita mistica, religiosa. Mi sono scontrato con delle realtà negative, anche con il sistema della chiesa. Sognavo una chiesa colorata, dove non ci fosse la sofferenza, avevo una visione gloriosa della fede; anziché vedere Gesù crocifisso, vedere Gesù risorto. Allora in questa resurrezione mi è venuta l’idea di creare per lui, una chiesa nuova piena di colori, che sia in contrasto con il vecchio. Io sono “figlio del nuovo” non posso stare sul già fatto di un altro. Su questo fazzoletto di terra ho visto un “nuovo mondo”, l’ho immaginato e da lì ho visto il paese con la chiesa che però l’ho consacrata all’ arte. L’idea me l’ha data papa Wojtyla, quando disse che un giorno il mondo sarà guidata dagli artisti; cioè un artista re, un re che sia vicino al suo popolo, che sia come la gente umile. L’umiltà, quindi la capacità di fare qualcosa per gli altri, uscire da me stesso per allargare l’animo mio verso l’umanità, quindi ho superato tutte le cose umane, la legge terrena. Ho superato anche la miseria, perché l’arte mi ha fatto principe! Sono consapevole di chi sono, sono consapevole dell’ampiezza della mia anima. Ho fatto tutto abusivamente, quando ancora si poteva fare, perché il Signore Dio mi ha predestinato in tutte le tappe della mia vita. E questa è l’espressione più bella della libertà, cioè l’artista re libero, non condizionato. Io ho fatto la casa solo per l’arte, una volta gli artisti lavoravano per i nobili, per i papi, per i re per poter creare. Io l’ho fatto da solo con le mie forze, per cui l’arte per l’arte fine a sé stessa! I quadri sono come dei figli per me, che vanno nel mondo per ampliare questo mio bisogno di bellezza, da far toccare anche agli altri. I quadri sono come delle sentinelle, delle bombe positive che entrano per immunizzare tutto il marcio che c’ è in giro.”
3. Cosa rappresenta l’arte per lei? Come é nata questa passione?
“…avevo 8 anni, mio padre era in Francia a lavorare, era il 1958. Una sera mia madre (disegnava modelli perché era sarta) tracciò con una matita su un foglio il profilo di un volto umano. Quale meraviglia non fu per me quel disegno: fu una folgorazione. Era la prima volta che vedevo disegnare qualcuno e da lì giurai a me stesso che da grande avrei fatto l’artista. A 13 anni fui mandato in collegio e c’erano 4 materie: meccanica, legatoria, elettronico e fotografia. Scelsi fotografia, ma il mio professore Pompeo Melotti, artista anche lui, venne a sapere che ero appassionato di disegno. Da qui iniziai ad avere la passione per l’arte…è nato così, perché doveva succedere!”
Poi continua: “L’ arte rappresenta tutto! Io ho dato la vita per l’arte. Ho coltivato continuamente il culto della bellezza, ho avuto dei modelli sani, puliti, grazie anche ai miei educatori che erano cristiani. Ho spento la materialità per innalzare lo spirito. Quando ho scoperto la vita dello spirito, dell’anima, la mia vita è cambiata. E poi avevo un sogno, quello di essere felice! Tutti gli amici di Milano dicevano che non si può essere felici, che la felicità è un momento. io dicevo no! Se è vero che la felicità esiste, vuol dire che deve esistere, si tratta solo di trovarla! La chiave è nel Vangelo, quindi, nella resurrezione. Il sacrificio è un momento, come il parto che è momentaneamente un dolore, ma che dopo diventa felicità con la nascita di una nuova vita.”
4. Cosa vuole esprimere o suscitare attraverso i suoi quadri?
“Interesse per l’arte. Noi abbiamo un sistema in Italia dove l’arte non è contemplata, perché si pensa che con l’arte non si mangia, che gli artisti sono pazzi e che l’arte è solo per gli intellettuali. Per me dipingere significa creare, suscitare emozioni e così facendo coinvolgo la gente nell’atto creativo, infatti sembra come fosse inebriata, entra in catalessi. Il mio scopo è quello di farla rilassare, di farla innamorare della bellezza artistica attraverso la cromoterapia, che salvifica. Quindi lo scopo è terapeutico, è una medicina per l’anima.”
5. Quanto ha influito il Salento, terra ricca di storia, arte e cultura, nella sua creatività?
È stata proprio la lontananza dalla terra natale che ha incentivato Vincent ad “infiammare” la sua tavolozza, carica dei colori della sua amata terra. “Altroché! Quando ero a Milano, sì… i quadri erano colorati perché mi portavo dentro il Salento, visto che Milano era molto grigia. É profetico il fatto che Dio abbia scelto il Salento per far nascere la mia casa. Qui, sempre a stretto contatto con la natura nascerà il nuovo e cioè io, ed è qui che guiderò tutti verso la libertà!”
L’eremo di Vincent Maria Brunetti
Il suo intimo bisogno di isolamento nasce dalla volontà di esplorare sé stesso, capirsi, conoscersi e donare agli altri l’essenza più pura e vera di sé. Lui vive lontano dal caotico e spasmodico vivere frenetico e spersonalizzato e del resto la sua arte è un antidoto capace di alleviare tutto ciò. Ed è proprio qui, nel cuore del Salento, in quella pace che solo la natura sa regalare, che nasce l’eremo di Vincent, una città immaginaria, un posto indescrivibile, colorato, “strano”, dal gusto kitsch, direbbero i più, realizzato con materiali di recupero e col frutto della genialità estremamente folle di quest’artista che dal ’93 affascina salentini e non con le sue peripezie.
É un’isola felice dove l’artista riesce a trovare ispirazione per le sue opere, dando sfogo al suo eccentrico modo d’essere, specchio del suo mondo interiore: creatività, leggerezza e bellezza, sono i messaggi che si riflettono in queste opere. La sua casa è un luogo aperto a tutti coloro, che vogliono curiosare e ammirare le sue creazioni; è un punto di riferimento importante per quanti, ancora, amano il bello e tutto ciò che di pulito e onesto esce dal cuore e dalle mani dell’uomo, che permette un vero rilassamento psichico, una “catarsi collettiva” per numerosissimi amanti dell’arte, la quale viene definita “una divinità che ha bisogno dei suoi profeti.”
L’eremo è un luogo incantato, tra il fiabesco e l’inquietante ma ha un fascino particolare. Tutto ciò che contiene sembrerebbe non avere alcun senso ma è estremamente bizzarro ed inusuale. Inoltre è ricco di opere d’arte presenti all’esterno e all’interno, quasi a fare da guardia, impedendo alla modernità di entrare a sconvolgere l’equilibrio tanto desiderato. Qualcuno potrebbe trovarle eccessive e ridondanti, ma indiscutibilmente attraenti ed originali! Nella casa museo si può trovare “tutto accostato a tutto “: il sacro e il profano, come dimostrano le riproduzioni di opere di soggetto religioso, accostate a quelle di statue pagane. Vi è, infatti, un duplice aspetto della personalità di Vincent: una fede molto salda e una forte propensione alla libertà, all’indipendenza.
Si possono trovare infatti, trasposizioni della Statua della Libertà, le Madonne cristiane, le torri gemelle, la Venere che emerge dalle acque, fiori, animali, così come paesaggi, poesie, addirittura peluche, che posiziona accanto ai volti dei grandi della storia, così per dare un tocco più “giocoso”. Impossibile non accorgersi delle tante decorazioni sgargianti e frasi misteriose, spesso criptiche impresse sulle pareti. Ogni angolo della casa è ricco di significati, poesie e dettagli che si allontano da lineari rigidi schemi, riuscendo a sorprendere i visitatori. Una straordinaria varietà coloristica e stilistica di piastrelle, utilizzate per la pavimentazione o per la composizione di mosaici, che rappresentano un puzzle capace di trascinare in un magico incanto, insieme a dipinti raffiguranti personaggi orientali e nature morte. I mosaici che coprono ogni superficie dello spazio sono, in realtà, opera di Orodè Deoro.
L’artista ha vissuto nella “Vincent City” per ben tre anni, dedicandosi all’arte pittorica e alla sperimentazione con il mosaico di ceramica. Le opere permanenti di Deoro sono moltissime: Il Trionfo di Bacco, Posters, Donna Ulivo e onda mediterranea, Mondoperapocalistoria (opera incompiuta), la penultima cena e molte altre ancora. All’interno è organizzata la mostra permanente delle opere del Brunetti, insieme con la pinacoteca dei suoi quadri in vendita.
Peter Pan salentino accoglie gli spettatori, seduto su uno sgabello intento a dipingere, correndo di qua e di là, in un forte bisogno di libertà.
Quella libertà che è nascosta nel cuore di ogni uomo e al suo “volo” esprime, il desiderio di liberarsi dal peso della materia (atteggiamento che gli è valso l’appellativo di “Libellula del sud”) trasportato dalla musica dance udibile anche dalla strada.
Luminoso e solare lo studio di Vincent Maria Brunetti, con tutti gli strumenti del mestiere a portata di mano.
Giorno dopo giorno l’eremo di Vincent Maria Brunetti cresce su sé stesso, suscitando stupore e perplessità. ll comune di Guagnano, che voleva abbattere tutto con l’accusa di abusivismo edilizio, deve oggi ammettere che si tratta di una delle sue maggiori attrattive. Vincent non è solo l’artista noto e stravagante che ha creato il tutto dal nulla, ma è un singolare connubio di genio e (s)regolatezza! Vincent Brunetti non sarà stato, certo, capace di cambiare il mondo, ma ne ha creato uno nuovo, uno alternativo, dove tutto è riciclato o si ricicla, dove lui è il sovrano indiscusso e i suoi quadri e la sua arte sono i guardiani del regno.
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Monteruga: il borgo fantasma nel cuore del Salento
Nell’agro di Veglie e all’incrocio tra i quattro feudi di Nardò, Avetrana, San Pancrazio Salentino e Salice Salentino, al confine di una collinetta che guarda il mare di Torre Lapillo, nel cuore dell’Arneo, sorge Monteruga segnalato ormai solo da cartelli stradali arrugginiti, il borgo fantasma nel cuore del Salento disabitato dagli anni ’80.