Case a corte nel Salento

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Durante le vostre passeggiate per i centri storici del Salento, vi potreste imbattere in delle abitazioni dalla forma architettonica particolare. Il fenomeno delle case a corte, nato nel 1500 in Salento, favoriva, in tempi passati, la coesione sociale delle famiglie grazie alle sue caratteristiche strutturali.

La casa a corte è frequente in tutta l’area del Mediterraneo anche per comuni ragioni legate al clima: si potevano facilmente spostare all’aperto parte di lavori che altrimenti dovevano svolgersi al chiuso.

Case a Corte nel Salento
Case a Corte nel Salento ©www.irenemarchese.it

Come erano strutturate le case a corte nel Salento

  • Dal punto di vista architettonico queste abitazioni sono composte da un cortile concepito come spazio plurifunzionale esterno all’abitazione, come luogo di lavoro, deposito e magazzino, ricovero per gli animali da lavoro, spazio di socializzazione, d’intrattenimento e di gioco al quale si accede da un portale che dà sulla strada.
  • Nel cortile, poi, si affacciano tutti gli ingressi delle singole stanze di cui si compone il fabbricato. Difficilmente le stanze sono collegate tra loro dall’interno.
  • Col passare del tempo, nel cortile venne edificata un’altra stanza: la casa del primogenito. Si giunse in questo modo alle corti plurifamiliari.
  • Con il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, che da braccianti passarono ad essere piccoli proprietari, la casa a corte elementare si arricchisce di un vano carraio coperto, di collegamento tra la strada e la casa, detto samportu o sampuertu. In questo vano venivano ricoverati il cavallo ed il traino, veniva depositata la paglia e gli attrezzi da lavoro.
  • Una prima importante modifica alle case a corte sono i cosiddetti scuri, ovvero i battenti, da qui comincia a perdere di importanza il momento socializzante e comincia la necessità della privacy. Processo che porterà al distaccamento della famiglia dei figli da quella dei genitori, passando così dalla famiglia allargata alla piccola famiglia, ovvero quella odierna.
  • Sul cortile si affacciano anche la stalla, la stanza dove è situato il pozzo e la “pila” per il bucato (una vasca generalmente scavata in un blocco di pietra). Sul retro delle abitazioni, in alcuni casi, c’è anche un piccolo giardino, non lastricato a differenza del cortile.
Case a Corte nel Salento
Case a Corte nel Salento ©www.irenemarchese.it

L’importanza sociale delle case a corte

Le “case a corte” erano di proprietà dei grandi latifondisti, che le facevano usare ai propri braccianti come abitazioni. A vivere in queste case era solitamente un unico nucleo familiare, ma spesso alcune stanze erano concesse ai figli sposati che, in questo modo, continuavano ad abitare insieme alla famiglia di origine. Le camere erano abbastanza grandi, ma arredate in modo spartano.

Questo tipo di abitazione favoriva la socializzazione ed aveva una grande funzione di coesione sociale. La disposizione e la struttura architettonica della casa erano dunque importante per il processo della socializzazione, la cellula abitativa era tale da favorire la convivenza della famiglia, in questo modo il padre e/o i nonni, in continuo contatto con i figli e i nipoti, passavano il tempo libero parlando e raccontando favole, i cosiddetti cunti e culacchi che tenevano uniti e permettevano di tramandare le tradizioni e gli aspetti della cultura popolare dell’epoca.

Negli ultimi anni si è assistito ad un recupero delle “case a corte” da parte delle famiglie proprietarie, che spesso le usano come abitazioni private o come strutture ricettive, in particolare B&B– ristrutturate con gusto e seguendo gli stili dell’architettura salentina. Molti esempi di “case a corte” si trovano nei paesi della Grecia salentina, in Salento.

Attualmente i comuni che la compongono sono 11, tutti in provincia di Lecce: Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino.

I capasoni pugliesi, dal termine dialettale “capase” (cioè capace), sono dei recipienti di creta di colore giallo ocra o giallo bruno di capacità variabile (da pochi litri fino a 300) utilizzati anticamente come contenitori di vino, olio extra vergine d’oliva e acqua, per via della loro capacità di mantenere costante la temperatura al loro interno senza che il contenuto si alterasse.

Capasoni Pugliesi
Capasoni Pugliesi ©cadicocinovo via Canva

I capasoni pugliesi: da contenitori ad oggetti di arredo

  • In passato, quando non esistevano ancora le cantine sociali, i capasoni sostituivano le botti e venivano utilizzati per contenere il vino prodotto dopo la vendemmia ma anche cibi solidi come fichi secchi, funghi sott’aceto e olive in salamoia.
  • Il capasone veniva sigillato con un piatto di creta fissato con una mistura di calce e cenere (solo in questo modo si evitavano infiltrazioni dall’esterno).
  • Nel basso veniva invece fissato un piccolo rubinetto chiamato “cannedda” o un turacciolo chiamato “pipolo”. Dopo l’utilizzo, il capasone, per poter esser impiegato di nuovo, veniva lavato con acqua e tufo macinato con l’ausilio di una spazzola. Sopra quest’ultima erano fissati dei ciuffi di mirto, timo ed altre essenze profumate.

Per anni i capasoni sono stati impiegati anche durante il commercio di vino e olio nel Mediterraneo.

Dai primi anni 2000, queste tradizionali giare sono diventate anche un bellissimo oggetto di design molto richiesto per ornare ville e giardini. Non mancano testimonianze di capasoni anche in resort lussuosi, persino in America. In effetti, questo oggetto riesce ad abbinarsi perfettamente in un giardino come vaso di fiori oppure in un salotto per donare all’ambiente un’atmosfera d’altri tempi.

I capasoni si distinguono da altri contenitori come le giare siciliane che hanno una forma più tozza e più capace, dall’orcio ligure che ha un colore giallo più chiaro, dagli orci toscani che hanno colore più rossiccio e da quelli umbri che sono più chiari e affusolati.

Difficile spiegare l’amore travolgente per questo luogo così straordinario, terra fatta di paesaggi, colori e misteri: il Salento che ha radici molto antiche, addirittura preistoriche. Partiamo precisamente dal IV millennio a.C. con la nascita dei Dolmen nel territorio del Salento.

Quest’ ultimi, così come i Menhir, risultano essere i più antichi monumenti esistenti sulla terra, probabilmente risalenti al Neolitico.

In alcuni l’entrata possiede una porta tagliata in più lastre verticali, per impedire l’accesso ad animali selvatici. Sulla funzione dei Dolmen esistono diverse ipotesi. La più accreditata è che si trattano di monumenti funerari, ma secondo altre teorie svolgevano la funzione di altari e luoghi di culto.

Dolmen
Dolmen ©diegofiore via Canva

Dove si trovano i Dolmen in Salento?

La maggior parte dei Dolmen ritrovati è in Europa Occidentale; nello specifico in Puglia se ne contano 23.

  • Questi si concentrano nel territorio di Bisceglie, Corato, Giovinazzo, Trani, Ruvo di Puglia, Terlizzi e Molfetta, nel brindisino (Cisternino e Montalbano) e nel tarantino.
  • A Minervino di Lecce c’è il dolmen “Li Scusi”, il primo rinvenuto in Puglia (nel 1879), è uno dei più particolari e rappresentativi del Salento e si riconosce nella classifica regionale per le dimensioni. Il nome alluderebbe a un’ipotetica funzione di nascondiglio. Qui è stato allestito il “Parco culturale del dolmen Li Scusi”: un progetto di valorizzazione del territorio che si concretizza in un percorso naturalistico tra muretti a secco, ulivi secolari e sentieri di campagna.
  • Giurdignano, definito il “giardino megalitico d’Italia“, è un paesino noto a livello nazionale per il più alto numero di monumenti in pietra. Esso custodisce ben 7 dolmen integri: dal cosiddetto “Orfine” (alto circa 1 metro) al “Peschio” (scoperto nel 1910); dal “Chiancuse” (di cui è visibile solo la lastra di copertura) ai “Grassi” (due dolmen “gemelli”, unici in Italia); dal “Gravasce” allo “Stabile” (si pensa, per quest’ultimo, ad un altare). La Pro loco di Giurdignano allestisce esclusivi percorsi a piedi, anche di notte, in bicicletta o in carrozza.
  • Anche nella città di Melendugno sono stati rinvenuti 2 dolmen: il “Placa” (formato da 7 blocchi che sorreggono una copertura irregolare) e il “Gurgulante”.
  • Infine Salve troverete il dolmen “Cosi, scoperto nel 1968 da Giovanni e Paolo Cosi, al cui interno sono stati rinvenuti resti umani, cocci di terracotta ed un frammento di ossidiana. A circa 600 metri, risiede il dolmen Argentina Graziadei, che può vantare uno stato di conservazione migliore rispetto al “Cosi”.

In virtù di questa analisi, l’ipotesi di una piccola “Stonehenge” salentina ormai perduta per sempre diventa molto più reale. Una risorsa storica e culturale che potrebbe essere occasione di sviluppo e visibilità culturale. Alla luce di ciò vale assolutamente la pena godersi il suggestivo percorso tra le “pietre” della preistoria.

Le Pajare dette anche “caseddhi“, ma pure “pagghiari” o “furni” sono delle particolari costruzioni tipiche presenti in Salento e sono considerate abitazioni tipicamente rurali e realizzate con la tecnica del muro a secco. Inoltre rispettano i canoni della bioedilizia perché l’utilizzo di materiale naturale come la pietra non incide sull’ambiente diventando un vero e proprio prodigio d’ingegneria.

Pajare
Pajare ©www.19summerclub.it

Origini delle Pajare

Dalla storia piuttosto incerta e controversa, le pajare salentine hanno un’origine decisamente antica, collocabile presumibilmente intorno all’anno 1000 dopo Cristo, anche se qualche storico, arriva a datarle tra il 2000 a.C. e la fine dell’Età del Bronzo. Qualunque ne sia l’origine, però, le pajare salentine s’identificano pienamente con il paesaggio circostante, aggiungendo un pizzico di folklore a un territorio, già di per sé, affascinante e suggestivo.

Utilizzate dai contadini salentini come luogo di riposo dopo un’intensa giornata di lavoro o per sfuggire a un improvviso temporale, le pajare, spesso, fungevano da vere e proprie abitazioni estive, ideali per controllare da vicino, sia il bestiame sia le coltivazioni più delicate. All’apparenza, molto simili ai trulli, corredati da finestre e possono essere anche piuttosto lussuosi e di grandi dimensioni, le pajare si contraddistinguono per un ambiente piccolo e spartano, privo di finestre e senza troppi fronzoli e orpelli.

Realizzazione delle Pajare in Salento

Queste tipiche costruzioni a forma di tronco di cono, sono un vero e proprio gioiello architettonico, realizzate mediante la sovrapposizione a incastro di pietre di diverse dimensioni, reperite in loco e accostate con un lavoro minuzioso di composizione, senza l’uso del cemento.

Pajare
Pajare ©fotografiche via Canva

Infatti la tecnica architettonica mediante la quale i trulli salentini sono costruiti, è la derivazione del sistema del triangolo di scarico, così come la cupola e le volte a botte sono derivate dall’arco a tutto sesto.

Come attrezzo si usava solo un martello di forma particolare, avente una duplice funzione: da un lato esso serviva per assestare le pietre e dall’altro a smussarle leggermente.

Scelto il sito, il contadino o il costruttore esperto, disegnava la planimetria del riparo direttamente sul terreno.

Tra il muro interno e quello esterno si lasciava un’intercapedine (“muraja”), la cui ampiezza varia a seconda della grandezza del riparo (generalmente di un paio di metri); questa viene colmata con pietrame più piccolo frammisto a terra. Le pietre di un medesimo strato, che si contrastano lateralmente costituendo un sistema anulare pressoché rigido, pur senza armatura e senza malta, si reggevano tra loro esclusivamente attraverso i contrasti e per la forza di gravità. I successivi e sovrastanti anelli sono leggermente aggettanti verso l’interno grazie all’utilizzo di pietre più lunghe. Alla fine veniva posta una grande lastra (“chiànca”), in funzione di chiave dell’intera struttura ed a copertura dell’apertura.

All’esterno hanno una scala, eretta sempre con la tecnica della costruzione a secco, che collegava la porta con il fragile tetto. Quest’ultimo, detto falsa cupola, rivela la straordinaria abilità degli antichi costruttori: le pietre che compongono il tetto, infatti, sono tenute insieme dal contrasto laterale tra esse e dalla forza di gravità.

Uso moderno delle Pajare in Salento

Inoltre, le pajare hanno la capacità di mantenere l’ambiente fresco e asciutto, anche durante le ore più calde e in presenza di temperature torride e intense. Unico nel suo genere è lu pagghiarune, sito a Tuglie, di forma troncoconica, costituito da tre gradoni e possiede sulla parte superiore una colombaia.

È molto in voga nel Salento convertire queste costruzioni rurali in strutture per il pernottamento o per il ristoro, regalando ai turisti l’esperienza di poter trascorrere momenti di relax, immersi nel verde e nella tradizione.

Testimoni silenziosi delle prime espressioni del sentimento umano, di un passato che ancora non conosceva la civiltà messapica, sono i Menhir disseminate in Salento, la cui origine e funzione restano avvolte da un’aura di mistero.

Eretti a partire dal Neolitico, il Menhir è un tipo di monumento megalitico costituito da una colonna monolitica, di forma quasi geometrica o irregolare per lo più lasciata grezza, infissa verticalmente nel terreno, detta anche Pietrafitta, alti non più di 5 metri.

Menhir Polisano
Menhir Polisano ©studiodesalve via Canva

La funzione dei Menhir nel Salento

  • Di leggende è illuminato questo cammino megalitico, in quanto sulla loro funzione ancora non esiste una spiegazione certa e del tutto plausibile. Si pensa fungessero da “segnalazioni” di tombe di straordinaria importanza.
  • In molti non escludono il significato di veri e propri monumenti dedicati ai morti o alle divinità, tanto più che molti riportano ancora tracce di sculture antropomorfe, i cosiddetti “allineamenti” che potrebbero essere luoghi di raduno o delle vie sacre.
  • Altre correnti vorrebbero che le facce larghe della pietra, orientate da est a ovest, illuminate dal sole possano essere utilizzate per scandire il tempo e segnare solstizi ed equinozi, o li identificano come simulacri del culto della fertilità della dea-madre terra.
  • Certo è che nel Medioevo furono finalizzati alla “cristianizzazione” dei menhir, attraverso l’apposizione della croce sulle facciate della struttura. Da qui divennero patrimonio condiviso della cristianità ed ancora oggi in alcuni paesi del Salento, si scelgono come meta di processione della domenica delle Palme per fermarsi e benedire i ramoscelli d’ ulivo.
  • Mistero e dubbi invadono da sempre il mondo dei Menhir nel Salento: se non è chiaro quale popolo li avesse eretti e per quali scopi. E’ possibile che i luoghi in cui i Menhir erano costruiti fossero considerati adatti a stabilire un contatto con il mondo ultraterreno e gli Dei.

Un legame tra passato e presente che viene custodita da una terra poliedrica che raccoglie in sé cultura, natura, folklore e storia disseminate da testimonianze di popoli diversi e antichi; una sacralità originaria, inspiegabile, con cui si convive ogni giorno.

Dove si trovano i Mehnir nel Salento?

Tracce di queste pietre “anziane” in molti paesi del mondo: Francia, Isole britanniche, Africa settentrionale, Germania.

Tra le regioni italiane la Puglia è certamente la più ricca di tali megaliti. Se ne contano infatti all’incirca 120 localizzate nella fascia costiera del barese, un’area a nord di Taranto e nel Salento.

Queste “pietre sacre” sono concentrate nell’area tra Minervino, Giurdignano, Giuggianello, Martano e Otranto.

  • A Giurdignano, definito ” giardino megalitico d’ Italia” se ne contano più di 15 esemplari, segnaliamo: il “Madonna di Costantinopoli” (alto 3 metri, in pietra leccese); il “Monte Tongolo” (scoperto nel 1951); i due “Vico Nuovo”; il “Croce della Fausa” (dal nome della grotta adiacente); il “San Vincenzo” (uno dei più alti); il “Palanzano”; il “Madonna del Rosario” (trasformato in colonna votiva di pianta ottagonale); i due “Vicinanze” (detti così dal nome di un casale rupestre nei dintorni). Altro menhir degno di nota è sicuramente il “San Paolo” che prende il nome dal santo cui è intitolata la cripta bizantina su cui s’innalza. Uno dei più bassi (circa 2 metri), reca i segni della cristianizzazione in quel foro sulla sommità che, si pensa, dovesse ospitare la croce.
  • Spostandoci a Giuggianello, troveremo il menhir “Polisano” e il “Quattromacine” (in pietra leccese).
  • A Martano è presente uno dei più alti Menhir d’Italia, il “Menhir de Santu Totaru”, che raggiunge i 4,70 metri d’altezza.
  • A 7km da Otranto, sulla Serra di Monte Vergine, sorge il menhir omonimo, così come lo è anche il santuario che s’innalza in cima alla collina.

Finché non lo si vede, non si crede che possa esistere un posto del genere. Un posto, incantato, magico, colmo di storie e di misteri, che ruotano attorno a quello che era un tempo, una proprietà privata in larga parte incustodita e lasciata marcire, un forziere scassinato e abbandonato al suo destino,un patrimonio dell’umanità che di umano serba solo le tracce ingiallite dal tempo. Qui, nell’agro di Veglie e all’incrocio tra i quattro feudi di Nardò, Avetrana, San Pancrazio Salentino e Salice Salentino, al confine di una collinetta che guarda il mare di Torre Lapillo, nel cuore dell’Arneo, sorge Monteruga segnalato ormai solo da cartelli stradali arrugginiti, il borgo fantasma nel cuore del Salento disabitato dagli anni ’80.

Monteruga
Piazza di Monteruga

Storia di Monteruga

Tutta la storia, il vissuto, le peculiarità del Salento e della sua gente, sembrano essere rappresentate da questo luogo.

  • Nacque in epoca fascista, quando in tutto il Salento fiorivano masserie e aziende agricole che dovevano portare all’autonomia del paese.
  • Ettari di terreno incolto che a partire dagli anni ’50 del Novecento vengono messi a disposizione dai contadini disposti a trasferirsi qui con la loro famiglia. Il villaggio ha origini più antiche, sorgendo attorno a quella che era una masseria fortificata, assume le sembianze attuali in epoca fascista.
  • Quella che era soltanto una masseria, sotto la gestione della società elettrica S.E.B.I. (Società Elettrica per Bonifiche e Irrigazioni, che poi diventerà l’ENEL) divenne un vero e proprio paese, che contava stabilmente 800 abitanti, suddivisi in 100/150 famiglie; conobbe il suo splendore negli Anni 50, con la coltivazione del tabacco e la produzione di vino, diventando soprattutto meta di persone, in particolare contadini delle zone limitrofe, che qui si trasferivano in cerca di lavoro e fortuna.
  • Si crea  una comunità autosufficiente, che in poco tempo a causa di problemi economici che interessarono la società proprietaria del paese, fu ceduto a privati e da qui iniziò il suo declino: l’azienda agricola venne privatizzata, il villaggio andò a svuotarsi e gli abitanti si spostarono nelle città vicine.

Prodotti locali

A Monteruga si produceva tabacco, olio e vino, e lo testimoniano i ruderi: uno stabilimento vinicolo, sulle cui pareti inneggiava una scritta fascista, utile, si diceva, per invogliare gli operai a lavorare: “Chi beve vino campa più a lungo del medico che glielo proibisce”. Passeggiando per le strade di questo paese abbandonato, si può vedere la chiesa di Sant’Antonio Abate (patrono del luogo), il campo da bocce, le case dei contadini, la caserma, le rimesse, gli uffici amministrativi, la scuola, il frantoio, il tabacchificio e gli altri prodotti agricoli coltivati nella stessa terra, dai contadini ed i coloni che raggiungevano questo posto da tutte le zona del Salento, anche dal Capo di Leuca.

Monteruga
Case di Monteruga

Tradizioni del borgo Monteruga

Ma Monteruga non era solo lavoro. Una grande famiglia, dove si condivideva ogni momento della vita. D’estate arrivavano anche i bambini dei campi estivi a portare gioia e allegria, si facevano grandi feste all’aperto, ci si imbellettava e si passeggiava.

Si festeggiavano i santi, come si conveniva. Era Sant’Antonio Abate il santo protettore di Monteruga, e ogni anno, il 17 gennaio, una grande processione attraversava il villaggio. Nei ricordi di chi quel luogo lo ha vissuto, pare indimenticabile la bellezza di quel giorno, soprattutto per chi al tempo era bambino e per la ricorrenza riceveva in dono un pallone di cuoio o una bambola.

Indelebili anche i ricordi legati all’annuale processione in onore del Corpus Domini, quando le donne, in segno di devozione, appendevano per strada, su fili di ferro, il loro corredo, faticosamente ricamato nelle poche ore di riposo. Erano bei momenti, in cui si annullavano le differenze sociali e di ruolo, e si stava tutti insieme: coloni, fattori, amministratori. A Monteruga sono nati amori, ci si è sposati, si sono cresciuti i figli, ma non si moriva. Qui non si celebravano i funerali, come se a predominare dovesse essere solo il trionfo della vita.

Le case cittadine

Ogni famiglia aveva la sua casa, tutte, tranne una, con il bagno in comune all’aperto. Le case dei coloni, una camera da letto e la cucina, erano disposte in fila e si rincorrevano per i tre lati del grande porticato che circondava la piazza principale, seguendo la regola “una porta, una famiglia”. Distante da queste abitazioni, la casa della maestra elementare, voluta in quel luogo per garantire quella che al tempo era definita l’“igiene morale”.

Monteruga
Monteruga

Monteruga oggi

Ad oggi Monteruga è una delle Ghost Town più famose d’Italia. Non è più quel paese ricco di vita e popolato da gente dinamica ed operosa, ma si presenta come un luogo deserto ed abbandonato. I suoi edifici sono ancora in piedi ma si presentano lugubri e impregnati di nostalgia per quel che è stato.

Nonostante i cartelli esterni che delimitano una proprietà privata, e lo scenario inquietante e desolante che si presenta, molti curiosi si avventurano ugualmente in questo angolo e pezzo di Salento dimenticato in terra d’Arneo , ad esplorare questo “scorcio di passato“, che continua a vivere, malgrado la sua triste storia, e a mostrare le sue caratteristiche più peculiari a tutti coloro che praticano ed amano il cosiddetto “turismo dell’abbandono”, ovvero il piacere che si può provare visitando tutti quei luoghi fantasma che puntellano il nostro territorio.

L’atmosfera della piazza abbandonata richiama i tanti film con scenari apocalittici. Sembra che il paese sia stato abbandonato da un momento all’altro e che la natura si stia impossessando dei suoi spazi in modo inesorabile.

Tuttavia, la bellezza del borgo non ha mai smesso di ammaliare i visitatori e se Monteruga ha dovuto fare i conti con lo spopolamento e la perdita della vitalità offerta dai suoi abitanti, oggi appare permeato da un fascino spettrale e nostalgico.

Una testimonianza vivente della preistoria in Puglia sono le specchie costruzioni simili a delle torri e consistono in manufatti dalle origini antichissime realizzati a secco da cumuli di pietre calcaree. Non è possibile dare a queste costruzioni una collocazione storica precisa: secondo alcuni studiosi infatti, la loro comparsa risale al Neolitico, mentre, per altri risalgono ai tempi dei messapi.

Specchia dei Mori, Martano
Specchia dei Mori, Martano ©www.salentoviaggi.it

La funzione delle Specchie in Puglia

La loro funzione reale è molto incerta. Secondo alcuni paleontologi le specchie rappresentano dei ruderi di antiche e gigantesche abitazioni, simili ai nuraghi sardi e ai tanto famosi trulli, per altri sono delle costruzioni erette a scopo difensivo dall’uomo primitivo, infine, per altri ancora hanno funzione tombale. Ma l’ipotesi più concreta, è che servissero come posto di vedetta per controllare la costa.

Le tipologie di Specchie in Puglia

Le specchie si dividono in base a dimensioni e funzioni in:

  • Grandi specchie: strutture che si innalzano seguendo una forma conica con un’altezza di circa 10-15 metri.
  • Piccole specchie: cumuli di pietra che pare avessero delle funzioni funerarie. In genere si tratta di semplici ammassi di pietre realizzati in maniera spontanea a formare piccoli dossi di pietrame di origine calcarea sparsi per la campagna.

Dove si trovano le Specchie in Puglia

La Valle d’Itria, alcuni comuni del Salento ed il Gargano presentano diverse specchie disseminate nei loro territori. Ce ne sono infatti 18 attorno a Ceglie Messapica, 10 nei pressi di Villa Castelli, altre sparse tra Cisternino, Fasano e Francavilla Fontana. La più celebre tra le specchie Tarantina quella della frazione del comune di Martina Franca.

Anche il Salento Settentrionale ed il territorio di Oria presentano alcuni esemplari di specchie, altre sono sparse tra le aree di Martano, Ugento, Cavallino e Presicce. Non ne mancano nella zona della Murgia Barese. Nel territorio di Salve, comune della Puglia in provincia di Lecce, si annoverano 3 specchie: la Specchia Cantoro, la Specchia Spriculizzi, la Specchia Cucuruzzi, altrimenti detta dei Fersini, la più imponente ed antica. Ricca di fascino e mistero la Specchia dei Mori suscita il grande interesse di studiosi e turisti.

Collocata nei pressi di Martano-Caprarica è conosciuta anche come la “Segla tu demoniu”. Un’antica leggenda narra che questa specchia nasconderebbe al suo interno un tesoro costituito da una chioccia e dodici pulcini d’oro, impossibile da prendere perché nelle mani del demonio.

Un’altra affascinante leggenda che aleggia attorno a questa specchia “incantata”, narra che giganti Mori, antichi abitanti di questi luoghi, decisero di costruire questa specchia così alta per riuscire a salire fino al cielo. Il gesto non fu gradito agli dei che pertanto la fecero crollare seppellendo con le pietre del crollo coloro che l’avevano costruita.

Ad oggi queste antiche costruzioni risultano informi ma al tempo stesso continuano ad esercitare un grande fascino sulle moltitudini di turisti che giungono a visitare questi luoghi di ritualità e mistero.

In Puglia tantissimi sono i mercatini e i villaggi di Natale che animano le festività salentine. Si tratta di una serie di eventi, allestimenti, spettacoli che offrono un’opportunità di divertimento per grandi e piccoli.

Alcuni di loro, a mio parere, si distinguono per la loro tradizione e partecipazione tanto da rientrare tra quelli più belli della regione.

Mercatini di Natale a Borgo Egnazia
Mercatini di Natale a Borgo Egnazia

Mercatini di Natale a Borgo Egnazia

Il Natale si avvicina e con sé porta l’atmosfera magica e calda che lo caratterizza e che avvolge anche Borgo Egnazia, a Savelletri di Fasano, uno dei luoghi più belli della Puglia, un trionfo di bellezza, storia e gastronomia, pronto a farvi vivere una fiaba natalizia.

La struttura è interamente costruita in tufo, la pietra locale e tagliata a mano dalle sapienti mani dei mastri tufai e infine grazie all’architetto e scenografo Pino Brescia che si è ispirato all’architettura delle masserie e dei villaggi rurali pugliesi, alla natura e alla semplicità, si è riusciti a raggiungere un turismo d’elite.

Borgo Egnazia: la struttura

L’imponente struttura è la regina incontrastata dell’accoglienza pugliese, che fonde tradizione e innovazione, contemporaneità e autenticità, semplicità e maestosità.

Le camere sono suddivise in tre categorie: La Corte, il Borgo, le Ville. Inoltre troviamo due spiagge private, all’interno delle quali si trova il centro Water Sport e La Fonte ideale con tre grandi piscine esterne, una piscina interna riscaldata, tre campi da Tennis e un campo a 18 buche affacciato sul mare, situato al confine tra l’antica città archeologica di Egnathia e il porticciolo di Savelletri. Il percorso si snoda tra i profili rocciosi del mar Adriatico, nella distesa della vegetazione mediterranea ed i campi coltivati ad ortaggi ed ulivi secolari.

Infine l’elegante spa il quale accompagna i visitatori in un percorso sensoriale tra emozioni e sport con un allentamento quotidiano all’aria aperta per ritrovare istinto e naturalezza. Insomma, un perfetto mix che riesce a combinare le più genuine tradizioni locali a servizi di altissimo livello.

La spettacolare location, capace di regalare intense emozioni, è la meta ideale per chi vuole trascorrere le festività tuffandosi nei sapori e nelle antiche tradizioni pugliesi.

Un luogo unico che assume ancora i valori di una volta e trascorrono in perfetta sintonia con il territorio ed un paesaggio mozzafiato.

I Mercatini di Natale a Borgo Egnazia: l’evento

Borgo Egnazia ospiterà i “Mercatini di Natale”, un evento che vi trasporterà in una festa di colori, sapori e allegria e che sarà aperto a tutti e non solo agli ospiti che soggiornano nella struttura.

Qui i visitatori potranno vivere l’emozione di passeggiare tra i suggestivi vicoli, fare shopping tra le bancarelle e quindi entrare in alcune delle “casette” trasformate per l’occasione in piccole botteghe in cui scoprire l’artigianato pugliese: ricami e merletti, ceramiche, o degustare i sapori tipici come pettole, caldarroste, frittelle, biscotti e dolci tra il profumo del vin brulè, dello zucchero filato, altri prodotti dei nostri talenti locali e alcuni tra i migliori vini pugliesi.

Le luci, i falò e la musica animeranno la grande Piazza, cuore di Borgo Egnazia, che faranno da cornice a questo meraviglioso dipinto.

E per una full immersion nel clima di festa tipicamente pugliese, anche qualche coccola alla Vair Spa, un ottimo compromesso, una proposta di soggiorno infatti, che combina tra loro le unicità del territorio e quelle della struttura stessa.

E per concludere in bellezza, al ristorante La Frasca, l’autentica trattoria pugliese di Borgo Egnazia, con il piacere di una cena tradizionale, è un’occasione unica per riscoprire le profonde radici contadine della cucina pugliese.

Con l’arrivo di Dicembre si rinnova il tradizionale appuntamento con uno degli eventi folkloristici natalizi più importanti dell’anno, che proprio nel Salento trova la sua massima rappresentazione. Che Natale sarebbe senza il presepe? Soprattutto nel nostro Salento, è ancora viva e molto sentita la tradizione di allestire nelle proprie case il presepe. Questo è considerato un elemento straordinariamente poetico e romantico, a differenza del più recente albero di Natale, che rimanda all’elemento profano e consumistico della festa.

Per l’occasione non c’è comune salentino che non organizzi un presepe artistico o vivente che sia, per festeggiare degnamente l’arrivo della festa.

Presepe di Lecce
Presepe di Lecce ©foodphotographer.puglia via Canva

Le origini del presepe in Salento

  • Storicamente, il merito di avere “inventato” il presepe, venne attribuito a San Francesco il quale si rifece alle sacre rappresentazioni che, fin dal primissimo Medioevo, venivano inscenate in chiesa durante la liturgia della notte di Natale. Il Santo dei poveri riprodusse la scena della Natività a Greccio, piccolo paesino in provincia di Rieti, nel 1223, secondo la testimonianza di San Bonaventura, con personaggi in carne ed ossa, per rendere più vicino anche alle persone umili e semplici e agli analfabeti, che non potevano leggere le Sacre Scritture, il miracolo della nascita di Gesù.
  • L’usanza di allestire dei presepi artistici divenne così popolare che presto tante altre chiese vi aderirono, creando ognuno, un proprio presepe particolare ed unico.

I presepi nel Salento

Il Salento vanta un invidiabile primato in fatto di presepi, conservando una tradizione antichissima. Il primo presepe artistico del mondo, infatti, sarebbe stato realizzato a Lecce da San Francesco nel 1222. Il Santo tornando da un viaggio in Oriente, si sarebbe fermato a passare le feste a Lecce. Qui, avrebbe realizzato un presepe artistico con statue in terracotta, un anno prima del “presepe vivente” di Greccio.

Presepi, di tutti i tipi, viventi, artistici, meccanici, piccolissimi ed enormi, sono realizzati in ogni angolo della nostra provincia. Nelle stradine dei borghi, nelle chiese, nelle piazze, nelle masserie di campagna, nei “trappeti”, nelle cave e sui promontori delle Murge salentine, nelle grotte in riva al mare, se non addirittura in fondo al mare.

I presepi solitamente sono caratterizzati da un percorso a piedi che permette di rivivere e riscoprire le antiche tradizioni ed i mestieri che hanno contrassegnato l’epoca in cui nacque il Bambinello. Il cammino, dall’atmosfera suggestiva e magica, si mescola alle dolci arie dei canti di Natale eseguite spesso dal vivo, che conduce alla grotta di Betlemme in una festa continua di luci, colori e suoni dati dai fragori e le gesta dei figuranti in costume.

presepe alberobello
Alberobello ©www.baritoday.it

La penisola Salentina è stata per secoli la “porta d’Italia”, un territorio di frontiera, dove le vicende storiche hanno influito sulla trama del tessuto insediativo ed hanno determinato architetture che ancora oggi si impongono per la loro monumentalità. Le antiche torri costiere disseminate nel Salento sono alcune delle testimonianze storiche più importanti del periodo in cui la regione rappresentava la frontiera d’Europa, il ponte del mondo occidentale per l’Oriente.

Sarà l’incrocio tra cielo e mare, sarà che raccontano una storia lontana, sarà quel pizzico di selvaggio che ancora conservano, ma le quasi cento torri costiere del Salento meritano davvero di essere viste.

Come silenziosi guardiani in pietra, imponenti, affacciate sul mare alcune diroccate che sembrano emergere dagli scogli, altre solitarie come nobili in esilio, si rincorrono all’infinito definendo la prima linea difensiva del Mezzogiorno contro le scorrerie dei pirati, dei saraceni e dei turchi.

Torre Colimena
Torre Colimena ©foodphotographer.puglia via Canva

Aspetto storico

  • Le prime torri nel Salento furono erette proprio nel periodo dell’impero romano: altre ne seguirono, costruite nel Medioevo, sotto la dominazione sveva e poi sotto quella angioina. La costruzione delle torri seguiva criteri ben precisi, in quanto dovevano poter comunicare con quelle più vicine, attraverso precisi segnali luminosi messi in atto dalle sentinelle dislocate nelle parti sommitali, al fine di segnalare possibili pericoli provenienti dal mare. La loro ubicazione, inoltre, veniva scelta in modo da avere la migliore visuale possibile anche verso l’entroterra, in modo che dalla fortificazione potessero essere lanciati tempestivamente gli eventuali segnali di allarme.
  • Il fenomeno assume però rilievo notevole tra il 1558 ed il 1567, per far fronte alle continue scorrerie. Si realizzano in tutto il Sud 339 torri e nella sola Puglia 96: 16 in Terra di Bari, 80 in terra d’Otranto, un’area molto più vasta, come si sa, rispetto alla attuale Provincia di Lecce.
  • Purtroppo la maggior parte di esse presentano tutti i segni del tempo, ma altre sono state oggetto di recupero e restauro e sono state riportate alla luce tutte le loro peculiarità.

Struttura delle torri

  • Le torri dell’epoca medievale erano costruite prevalentemente a pianta quadrata, con basamento a scarpa e terrazza sommitale demarcata da merlature con delle feritoie sulle pareti.
  • Durante l’epoca rinascimentale le torri assunsero una forma generalmente a pianta circolare, con  l’ingresso che spesso veniva posto al piano sopraelevato.
  • Alla fine del XV secolo il Regno di Napoli, a fronte dell’intensificarsi degli attacchi, decise di ripristinare e completare il sistema delle torri costiere. Alte, maestose nella severa semplicità delle linee architettoniche si presentano cilindriche e quadrangolari con base troncopiramidale.
  • Mancano, almeno nel leccese, quelle a forma stellare o a “cappello di prete” come nel caso di quelle di Torre Santa Sabina e di San Pietro in Bevagna. Le prime, che sono poi le più antiche, erano soprattutto di avvistamento, le seconde avevano scopi anche difensivi ed erano dotate di catapulta, spingarde, colubrine e armi da fuoco: alcune recuperate, sono in ottimo stato di conservazione, altre, purtroppo, in stato di abbandono totale.  A volte si tratta di vere e proprie fortezze come la cosiddetta torre delle Quattro Colonne di Santa Maria al Bagno di cui restano in piedi, oggi, le sole quattro colonne angolari.

Viaggio alla scoperta delle Torri costiere in Puglia

Non esistono dei veri e propri itinerari da scegliere per andare alla scoperta delle torri costiere nel Salento. Molte delle torri si trovano a ridosso di alcuni dei posti di villeggiatura più famosi, altre immerse in oasi suggestive, strette tra natura selvaggia e il tipico mare cristallino che bagna le zone costiere.

Questo inusuale tour delle antiche torri costiere nel Salento è un modo simpatico e diverso per vivere il territorio, per conoscere i luoghi e i paesaggi unici di una Puglia senza tempo, bella e affascinante!

Vi elencherò solo alcune delle più importanti torri che popolano le coste del Salento iniziando dal Gargano fino alla punta del Capo di Leuca risalendo poi fino a Taranto.

Le Torri in provincia di Foggia

In provincia di Foggia le torri costiere si estendono per tutto le coste del Gargano e significative sono quelle erette in territorio del Comune di San Nicandro Garganico: Torre Calarossa, di cui oggi rimane solo qualche rudere e Torre Mileto, costruita su base quadrangolare, imponente come poche altre con i quattro spigoli rivolti verso i punti cardinali, dispone anche di cinque caditoie e una scala in pietra da cui si accede al primo piano.

Torre Mileto
Torre Mileto ©lucalorenzelli via Canva

Le Torri in provincia di Bari

Scendendo verso Bari, una delle più importanti è Torre Calderina, tra Molfetta e Bisceglie, al centro di uno splendido territorio in cui oltre alla macchia mediterranea sono ospitati siti archeologici, ville antiche, trulli, muretti a secco, grotte, liame e spiaggia di ciottoli. In Terra di Bari una delle più suggestive rimane quella di San Vito che prende il nome dalla vicina Abbazia in territorio di Polignano a Mare.

Le Torri in provincia di Taranto

Lunghi arenili di sabbia e un mare cristallino caratterizzano la costa fino al confine con il territorio di Taranto dove si erge Torre Colimena, nel Comune di Manduria, che con le sue caditoie e i segni del ponte levatoio posto a ridosso della scala, fa la guardia alla lunga distesa di spiaggia dorata.

Le Torri in provincia di Brindisi

In provincia di Brindisi, tra le torri meglio conservate troviamo quella di Torre Guaceto all’interno dell’omonimo parco naturale in cui fermarsi a osservare uccelli di passo e stanziali, e l’imponente Torre Santa Sabina sul litorale della cittadina di Carovigno. Meritano una sosta e un ricordo fotografico Torre Specchiolla al confine tra i territori di Brindisi e Lecce, Torre Sant’Andrea a Melendugno e le Torri del Serpe e dell’Orte a Otranto.

Le Torri in provincia di Lecce

  • Da San Foca si giunge a Roca Vecchia, già fiorente città messapica e poi attivissimo porto munito di fortezza della quale si conservano i suggestivi ruderi. La torre, anch’essa ridotta a rudere, è del 1568 e presenta il tipico impianto a piramide tronca proprio come Torre dell’Orso nell’omonima località balneare.
  • Giunti a Otranto ci si dirige in località L’Orte. Per prima s’incontra la Torre del Serpe di forma cilindrica della quale si è conservata solo un’alta faccia. Più avanti si trovano Masseria dell’Orte e la Torre dell’Orte, una struttura a piramide tronca ampia e bassa che svolgeva la funzione di fortino.
  • Riprendendo la litoranea, ci si dirige verso Torre Sant’Emiliano dove una torre tronco-conica domina uno dei tratti più belli del litorale orientale salentino. La litoranea conduce a Porto Badisco e a Santa Cesarea, località difese da Torre Minervino, Torre Specchia di Guardia, Torre Santa Cesarea e l’imponente Torre Miggiano.
Torre Miggiano
Torre Miggiano ©TheSP4N1SH via Canva
  • Dalla parte ionica, tra Ugento e la marina di Nardò, si estende la Palude del Capitano, zona umida dove si è costituito un particolare habitat paludoso. A sorvegliare le grotte c’è un gigante cinquecentesco ma ormai quasi ridotto un rudere: Torre Uluzzo, conosciuta come Porto Selvaggio.
  • A Santa Maria al Bagno si può ammirare la Torre del Fiume, meglio nota come le “Quattro Colonne”, perché crollate le mura perimetrali di un antico castello.
  • Continuando verso Gallipoli, prima di giungere alla Torre del Pizzo, si percorre una delle zone naturalisticamente più interessanti della provincia di Lecce.
  • Proseguendo verso sud si incontra Torre Suda, sulla costa a sud di Gallipoli, mentre in territorio di Ugento si trova Torre San Giovanni, una delle località più “in” della costa, dove il paesaggio diventa ancora più suggestivo grazie a una fitta pineta con esemplari di pino d’Aleppo che si protende fin sulla spiaggia.