Scapece gallipolina
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Tra i piatti tipici della tradizione pugliese oggi vi proponiamo una delle più diffuse nelle principali sagre che si tengono in tutto il territorio salentino. Stiamo parlando della scapece di Gallipoli, un vero e proprio classico protagonista della cucina salentina, con gli scapecieri che si mettono all’opera per prepararlo.
Questo curioso piatto ha delle origini particolarmente interessanti, che testimoniano ancora una volta la ricchezza della storia di questo territorio. A Gallipoli, infatti, in seguito ai continui tentativi di invasione via mare da parte degli avversari situati nel Mediterraneo, nacque la necessità di avere a disposizione delle derrate alimentari di scorta da poter distribuire tra le persone proprio in caso di un attacco da parte di forestieri.

Ricetta originale della Scapece gallipolina:
Ingredienti
- 1 kg di pesciolini definiti localmente “Pupiddi”
- pane grattugiato
- aceto
- zafferano
- olio extravergine di oliva
Preparazione
Per risolvere il problema della conservazione, quindi si pensò ad una preparazione a base della materia prima più disponibile localmente, vale a dire il pesce, che dopo esser stato sottoposto a cottura attraverso la frittura, si poteva arricchire con una marinatura a base di mollica di pane cui veniva poi aggiunto dell’ aceto e anche dello zafferano, procedendo alla preparazione all’ interno delle cosiddette calette.
Ecco invece come dovrete procedere per ottenere una pietanza il più possibile simile all’originale:
- Pulite accuratamente i pesciolini e, quindi, preoccupatevi di friggerli in olio bollente.
- A questo punto, potrete passare i vostri pesciolini nel pane grattugiato e lasciarli anche marinare in una soluzione composta da aceto in cui sia stato sciolto anche dello zafferano.
- Una popolare variante a questa preparazione, prevede di sostituire allo zafferano dell’aglio e della menta pestati.
L’abbinamento ideale di questo piatto, a livello enologico, è sicuramente quello con del vino Castel del Monte bianco.
Tempo di preparazione: 30 minuti
Difficoltà: media
La Tiella barese è un tipico piatto pugliese fatto con riso, patate e cozze. Il nome rimanda al dialetto tieèd (o taieddha, o tieddra, o tjedda, o tajedda) cioè il tegame di terracotta in cui veniva preparato il riso fatto cuocere sulla brace (e non in forno). Il piatto è conosciuto più tradizionalmente come “riso, patate e cozze alla barese” ed è possibile assaggiarlo in numerosi ristoranti di Bari e provincia ma anche replicarlo a casa propria in maniera facile e veloce, per gustare questo particolare e ricco piatto della tradizione.

Come preparare la Tiella barese
Nella ricetta del riso, patate e cozze alla barese, gli ingredienti protagonisti, come suggerisce il nome, sono il riso, le patate e le cozze ma anche i pomodorini.
Ingredienti per 6 persone:
- 300 g di riso
- 500 g di cozze con il guscio
- 500 g di patate
- 300 g di pomodori
- 50 g di pecorino
- 1 cipolla
- 1 spicchio d’aglio
- pangrattato
- prezzemolo
- sale q.b.
- pepe q.b.
- olio d’oliva q.b.
Come detto, per la buona riuscita di questa ricetta è preferibile dotarsi di un recipiente di terracotta in cui eseguire tutte le fasi della preparazione. In alternativa, andrà bene anche una teglia in alluminio.
Procedimento:
- Dopo aver lavato accuratamente le cozze, pulirle avendo attenzione di raccogliere la loro acqua in un contenitore (perché servirà in un momento successivo).
- Pelare e tagliare a rondelle le patate, quindi procedere con i pomodorini.
- Tritare l’aglio, la cipolla e il prezzemolo.
- Dopo aver tagliato questi ingredienti, si può iniziare a preparare il primo strato nel recipiente di terracotta: cospargere la tiella di olio e metterci del trito di aglio, cipolla e prezzemolo, quindi posizionare uno strato di patate e pomodori da condire con sale, pepe e olio e un altro po’ del trito di aromi.
- Aggiungere le cozze ed infine il riso (crudo) coprendo tutte le cozze.
- A questo punto si può passare al secondo strato, alternando nuovamente le patate e i pomodori (condite con sale, pepe, olio e altro trito di aromi).
- Infine, spolverare con del pangrattato e del pecorino.
- Riprendere l’acqua delle cozze precedentemente messa da parte e versarla in un lato della pirofila, filtrandola. Questa acqua deve raggiungere quasi la panatura ma non bagnarla.
- Prima di mettere in forno, fare un giro d’olio sulla superficie, quindi infornare in forno ventilato preriscaldato a 180° per circa un’ora o comunque fino a che ci si accorge che le patate sono belle grigliate e il riso e le cozze sono cotti.
Se si gradisce un sapore più delicato, invece che il pecorino si può utilizzare il parmigiano.
Dati gli ingredienti, è preferibile consumare il riso, patate e cozze appena pronto. Tuttavia, se lo si volesse conservare, è possibile farlo al massimo per un giorno, ponendolo in frigo in un contenitore con coperchio. Prima di mangiarlo, sarà sufficiente riscaldarlo.
Altre varianti della Tiella barese
Sebbene la ricetta tradizionale barese preveda l’utilizzo di riso, patate e cozze, nel tempo si sono diffuse anche altre varianti come ad esempio quella con le zucchine (anche conosciuta come “Tiella tarantina”). In pratica, assieme al primo strato di patate tagliate a rondelle e pomodorini, vanno aggiunte anche le zucchine.
Un’altra versione è invece quella con il polpo, un altro ingrediente molto utilizzato nella cucina barese. In questo caso, però, questo sostituisce del tutto le cozze.
La puccia è una pagnottella lievitata e “condita”, ormai tanto famosa da essere diventata uno dei simboli della gastronomia salentina. Ogni panetteria pugliese, tra i tanti pani tradizionali, vende le pucce; ma esistono anche vere e proprie puccerie, una sorta di originalissimi “fast food regionali”, esclusivamente dedicate a questo gustoso panino (le migliori cuociono la puccia nel forno a legna).
Sembra che l’etimologia della parola puccia derivi dal latino buccellatum, nome del classico pane rotondo (composto da olio, semola e acqua ), cioè “pane da trasformare in buccelli, piccoli tozzi, bocconi”. Anche se in origine la puccia era il pasto povero portato nei campi dai contadini al lavoro, oggi rappresenta uno degli dei cibi di strada più amati e consumati della regione, tanto da divenire il cibo cult di ogni turista in vacanza nel Salento.

Esistono davvero molte versioni di puccia: morbide, croccanti e condite con gli ingredienti più disparati, da quelli tradizionali a quelli che incontrano i gusti più moderni, con pomodoro, salumi e formaggi.
La puccia probabilmente più famosa è quella con le olive nere – puccia cu’ ’lle ulie – le “celline di Nardò”, varietà locale di piccole olive che regalano all’impasto un colore e un profumo fruttato davvero particolare!
Altra puccia molto conosciuta è la puccia caddhipulina, preparata nella città di Gallipoli il 7 dicembre, la vigilia della festa dell’Immacolata Concezione: per consentire alle donne di seguire i riti religiosi senza l’incombenza della cucina e per osservare il digiuno come penitenza in vista della festa, il pasto della vigilia è costituito da una frugale puccia condita con acciughe sotto sale e capperi, oppure con l’aggiunta di tonno, pomodori e olio extravergine d’oliva.
A Taranto, invece, c’è la puccia alla vampa, una puccia di semola cotta al calore molto elevato del forno a legna (vicinissima alla fiamma del fuoco), in modo da avere un immediato rigonfiamento della pagnottella ottenendo l’interno molto morbido: viene farcita con il pomodoro, olio extravergine d’oliva, sale e ricotta forte, oppure con le rape stufate.
In generale possiamo dire che le pucce vengono lavorate con farina di grano tenero (in alcuni casi mista a semola di grano duro), acqua e un pizzico di sale. In molte case pugliesi, però, questa ricetta base è arricchita con olio extravergine di oliva o con patate lesse e schiacciate, due ingredienti che regalano alla puccia una morbidezza fuori dal comune.
Riportiamo qui una ricetta base, molto semplice e riproducibile, cui ognuno potrà apportare le proprie varianti e condimenti seguendo la tradizione, o la propria fantasia.
Ricetta della Puccia salentina
Ingredienti:
- 1 kg di farina 0(è possibile utilizzare sia solo farina di grano, sia semola di grano duro, oppure un
- 50% di farina di grano duro e 50% di semola)
- 600 ml di acqua tiepida
- 25 g di lievito di birra
- 100 ml di olio extravergine d’oliva
- 15gdi sale
- 10 g di miele
Preparazione:
- Setacciate la farina nella ciotola della planetaria e unitevi il lievito sciolto in una parte di acqua insieme al miele. Azionate la planetaria inserendo la foglia e unite l’olio extravergine d’oliva e l’acqua tiepida a filo. Fate lavorare il tutto per qualche minuto e quando il composto sarà diventato una palla omogenea, unite anche il sale. Lavorate il tutto per un paio di minuti, in modo che il sale venga ben assorbito.
- A questo punto sostituite la foglia con il gancio e continuate ad impastare per circa 10-15 minuti, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Quando l’impasto sarà ben incordato, trasferitelo su un piano di lavoro infarinato e lavoratelo leggermente con le mani. Cercate di dare una forma quanto più possibile sferica e ponete l’impasto in una ciotola oleata.
- Copritela con della pellicola trasparente e lasciate lievitare in forno spento con luce accesa per circa 2-3 ore. L’impasto dovrà raddoppiare il suo volume.
- Trascorso il tempo di lievitazione, trasferite l’impasto sulla spianatoia e lavoratelo con le mani fino a formare un filone. Ricavate dei pezzi di impasto del peso di circa 90 g ciascuno. Prendete ciascun pezzo di impasto ed eseguite un movimento rotatorio in modo da ottenere delle sfere, che stenderete con un mattarello. Dovrete ottenere dei dischi del diametro di circa 20 centimetri.
- Disponete ogni disco ottenuto su una leccarda ricoperta di carta da forno e infornate a 250° in forno statico per circa 15 minuti. Sfornate le vostre pucce e lasciatele freddare, dopodiché tagliatele a metà e farcitele secondo i vostri gusti: per me un ripieno a base di crudo, mozzarella e pomodori. -Servite la puccia salentina e buon appetito.
Le pittule sono un piatto tipico della gastronomia salentina, tramandata dalle massaie e dalle nostre mamme e nonne, sono una prelibatezza che si prepara soprattutto nel periodo autunnale e invernale.
Qui vi presentiamo una ricetta per meglio comprendere la preparazione e gli ingredienti che si possono usare per gustare al meglio queste leccornie tipiche del Salento.
Le Pittule o Pettule sono delle frittelle di pasta lievitata della tradizione pugliese e possono essere preparate in differenti modalità: con lampascioni, cime di rapa, cozze, verdure, con olive nere e capperi ed infine inserite nell’impasto insieme a dei buonissimi pomodori secchi e poi ancora con gamberetti, calamari, baccalà oppure con cavolfiore.
Insomma sono un piatto nutriente, facile da preparare e che si presta a tutti i gusti, anche a quelli più particolari.

La ricetta delle pittule salentine
Ingredienti:
- 1 kg di farina
- un cubetto di lievito di birra
- acqua tiepida
- sale q.b.
- olio di oliva per friggere
Preparazione:
- Versare la farina in un recipiente abbastanza capiente, aggiungere il lievito sciolto nell’acqua tiepida ed il sale, lavorare la pasta a lungo fino a quando non risulterà abbastanza elastica ed omogenea.
- Lasciarla riposare sotto una coperta di lana, per circa tre ore.
- Passato questo tempo, mettere l’olio di oliva sul fuoco, riprendere l’impasto e lavorarlo ancora.
- La procedura per la frittura è la seguente: si prende un po’ di pasta chiudendola nel pugno della mano, con l’altra mano (sempre bagnata) si raccoglie la pallina che ne fuoriesce e si getta nell’olio bollente.
- Tirarle fuori con la schiumarola quando saranno ben dorate e poggiarle su della carta assorbente.
- Si può utilizzare lo stesso impasto per fare le pittule “mischiate”: si prende un po’ di pasta tra le mani, la si avvolge al peperone (o a pezzettini di cavolfiore precedentemente lessati) e si passa nell’olio; oppure si può preparare un misto di cipolla tritata finemente, pomodorini, peperoncino, capperi, acciughe, sale, si unisce il tutto all’impasto e si friggono delle palline un po’ più grandi di quelle ricavate stringendo i pugni.
Per quanto riguarda i dolci, che sono una delle caratteristiche principali della tradizione gastronomica del Salento, ce ne sono di diversi tipi, ma quello che più rappresenta la bassa Puglia è il pasticciotto leccese.
Gli ingredienti base di questo dolce sono molto semplici: pasta frolla, realizzata rigorosamente con strutto bandendo burro e margarina, e crema pasticcera.

Origini del pasticciotto leccese
La sua origine risale almeno al Settecento, una delle storie più diffuse è quella che associa la nascita del pasticciotto alla pasticceria della famiglia Ascalone a Galatina durante i festeggiamenti per San Paolo, leggenda che però non trova nessun fondamento.
C’è chi invece rende tutto più semplice, dicendo che questo dolce sia soltanto una delle tante varianti del bocconotto abruzzese, data la somiglianza, oppure c’è anche chi lo fa derivare dal pasticciotto napoletano, che prevede l’aggiunta delle amarene.
Dove mangiare il pasticciotto leccese
Da Lecce in giù, il rituale della colazione prevede caffè e pasticciotto. Numerose pasticcerie sono divenute famose proprio grazie a questo dolce e sono tanti gli indirizzi dove poterlo assaggiare. Bisogna fare attenzione però a non incappare in prodotti preconfezionati e scongelati all’occasione, altrimenti si corre il rischio non solo di rimanere delusi ma anche di lasciare in bocca un sapore sgradevole. Capita spesso, purtroppo, che per velocizzare i tempi si adotta la stessa tecnica dei cornetti surgelati. Si comprano prodotti industriali che non posseggono nessuna delle caratteristiche tipiche del pasticciotto.
A Lecce si trova la pasticceria Natale, in Via Trinchese, ma pasticciotti buoni si trovano anche da Cadorna in Piazza d’Italia. Più noto a livello turistico è il Caffè Alvino in Piazza Sant’Oronzo.
Spostandosi nella provincia, a Galatina c’è la sopracitata pasticceria Ascalone, mentre a Nardò, prima di cedere l’attività, il miglior pasticciotto si trovava nella pasticceria da Egidio. Per chi desidera una versione più raffinata del dolce, nel ristorante Malcandrino di Monteroni, lo chef propone una rivisitazione giovane del pasticciotto scomposto.
Nella Masseria Stali, di Caprarica, dove la cucina di Rita e Leo Piccinno è genuina e proposta come fatta in casa, il pasticciotto leccese si trova in versione torta, che viene tagliata e servita a tranci ai commensali.
A Gallipoli si segnala la Caffetteria Martinucci e a San Cataldo la Pasticceria Nobile.
La ricetta originale del Pasticciotto leccese:
Ingredienti:
- 500 g. di farina
- 250 g. di burro
- 200 g. di zucchero
- 3 tuorli
Per la crema:
- Mezzo litro di latte
- 3 uova
- 125 g. di zucchero
- 1 bustina di vanillina
Procedimento:
- Per fare la pasta frolla, unire con le mani il burro e la farina. Fare una fontana e al centro mettere i tuorli d’uovo con lo zucchero, impastando molto rapidamente. Formare una palla ed avvolgerla nella pellicola, tenendola in frigo per 30 minuti.
- Per la crema invece, prendere una ciotola e mescolare le uova, lo zucchero e la vanillina, aggiungendo un po’ alla volta la farina setacciata. Versare il latte bollente sul composto e mettere sul fuoco, mescolando fino all’ebollizione. Togliere dal fuoco e lasciar raffreddare.
- Formare dei dischi da 30 cm. con la pasta frolla precedentemente tirata, riempire il fondo dellostampo, versare la crema e ricoprire con il secondo disco. Ricordate di chiudere il bordo ed infornare per 20 minuti a 180°.
Varianti del pasticciotto
Il pasticciotto leccese, pur essendo molto semplice, negli anni ha conquistato il primato della pasticceria salentina ed è stato inserito nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Il modo più giusto per degustarlo è mangiarlo caldo, appena sfornato. Naturalmente, dalla ricetta base, sono poi nate numerose varianti: alla crema pasticcera si possono aggiungere confettura alle amarene, crema al cioccolato e c’è anche la versione con la pasta frolla al cacao.
Le pastarelle pugliesi sono dei tipici biscotti “inzupposi” da latte (o da te) che vengono preparati in diverso modo in tutta la Puglia. I forni pugliesi sfornano ogni giorno pastarelle di ogni tipo per andare incontro alle diverse esigenze dei propri clienti ma si possono preparare anche in casa perché servono pochi ingredienti e poca manualità. In questo modo si otterranno dei biscotti per la colazione più genuini rispetto a quelli commerciali che si trovano nei supermercati. Per questo sono spesso presenti durante le colazioni o le merende di grandi e piccini.

Pastarelle pugliesi: la ricetta
Per preparare le pastarelle pugliesi servono pochi e semplici ingredienti per portare in tavola un prodotto gustoso e profumato, autentico e della tradizione.
Ingredienti:
- 1 kg di farina
- 300 g di zucchero
- 150 ml di olio extravergine d’oliva
- 400 ml di latte
- 6 uova
- buccia grattugiata di un limone
- 1 bustina di ammoniaca per dolci
Procedimento:
- Riscaldare il latte e, una volta tiepido, farvi sciogliere l’ammoniaca.
- Aggiungere tutti gli ingredienti (anche il latte con l’ammoniaca) in una ciotola ampia e mescolare con una frusta per eliminare ogni grumo.
- Rivestire la placca da forno con la carta da forno e, con l’aiuto di un cucchiaio, stendere l’impasto, distanziando di qualche centimetro le pastarelle.
- Prima di infornare, spennellare un po’ di uovo sbattuto e di zucchero sui biscotti.
- Infornare in forno preriscaldato ventilato a 250° per 10 minuti e poi in forno statico per 5 minuti.
Le pastarelle così ottenute si possono conservare per qualche giorno in un contenitore a chiusura ermetica o in un posto asciutto.
Pastarelle salentine: la ricetta
C’è poi la ricetta delle pastarelle salentine, dei tradizionali biscotti da latte o da te, molto fragranti e profumati.
Ingredienti:
- 1 kg di farina
- 300 g di zucchero
- 4 uova
- 300 ml di latte
- 160 ml di olio extra vergine d’oliva
- 20 g di ammoniaca per dolci
- 2 bustine di vanillina
- buccia grattugiata di un limone
Procedimento:
- Su una spianatoia creare una fontana con la farina, aggiungervi all’interno le uova, lo zucchero, la buccia grattugiata di limone, l’olio, la vanillina e l’ammoniaca.
- Amalgamare il composto e aggiungere a poco a poco il latte fino a che la consistenza non diventi né troppo morbida né troppo dura.
- Stendere l’impasto ottenuto con il matterello fino a dargli una forma di rettangolo con lo spessore di circa un centimetro.
- Dare alle pastarelle la forma di piccoli rettangoli che andranno posizionati su una teglia ricoperta di carta da forno.
- Prima di infornare, spennellare l’albume d’uovo e lo zucchero sui biscotti.
- Infornare in forno preriscaldato a 170° per 25 minuti.
Anche in questo caso le pastarelle possono essere conservate per qualche giorno in un contenitore ermetico.
Come preparare le Pastarelle pugliesi con il Bimby
Anche se si possono preparare facilmente a mano senza l’ausilio di robot da cucina, ecco come preparare le pastarelle pugliesi con il Bimby.
Ingredienti
- 650 g di farina
- 180 g di zucchero
- 3 uova
- 80 g di latte
- 180 g di olio di semi
- buccia grattugiata di un limone
- 1 bustina di vanillina
- 1 bustina di ammoniaca per dolci
- un pizzico di sale
- zucchero a velo q.b.
Procedimento
- Inserire nel boccale lo zucchero e la scorza di limone e far lavorare per 10 secondi a velocità 10.
- Aggiungere le uova e l’olio e far amalgamare a velocità 4 per 30 secondi.
- Aggiungere nel boccale il latte tiepido, l’ammoniaca, la vanillina e il sale e far lavorare per 10 secondi a velocità 4.
- Infine, aggiungere la farina e in modalità “Spiga” far lavorare per 2 minuti.
- Dare all’impasto una forma rettangolare, quindi formare le diverse pastarelle e posizionarle su una teglia rivestita di carta da forno.
Spolverare lo zucchero a velo ed infornare in forno preriscaldato, statico, a 180° per 12 minuti ed infine a forno ventilato.
Nella riscoperta della cultura del cibo pugliese il ruolo della pasta fatta in casa è stato fondamentale. Una pasta rustica preparata mischiando alla farina tradizionale di grano duro la farina di semola rimacinata, dal pallido colore giallo. L’impasto viene fatto solo con l’acqua, raramente vengono aggiunte uova come invece è tradizione della pasta emiliana o piemontese per esempio.

Le diverse forme della pasta fatta in casa pugliese
- La forma della pasta fatta in casa è molto varia. Le tradizionali striscioline di pasta, somiglianti alle tagliatelle possono essere realizzate in molti modi. Stendendo la pasta sfoglia sottile e poi tagliata a coltello vengono denominate trie, con le quali si fa la famosa minestra con i ceci: “ciceri e trie”.
- Oppure con uno speciale mattarello fornito di lame ed allora prendono il nome di troccoli, dalla forma sempre di tagliatelle ma di sezione ovale. Questi vengono utilizzati per accompagnare sughi di carne (vitello o, meglio ancora cavallo) che si sfaldano nella lunga cottura.
- Poi c’è la grande famiglia delle paste “strascinate”, ovvero striscioline di pasta la cui forma viene data con un sapiente colpo di dita trascinandole appunto sul piano di lavoro, come i cavatelli, dalla forma allungata o le famosissime orecchiette, dei dischetti di pasta che un abile colpo di indice trasforma nella pasta ideale per essere accompagnata dai sughi a base di verdure stufate, come le famose cime di rapa, di una semplicità disarmante ma dal gusto indimenticabile.
- E poi ancora ricordiamo le pappardelle ritorte, striscioline di pasta ripiegate su sé stesse e intrecciate, le sagne ‘ncannulate, anch’esse adatte a sughi particolarmente gustosi.
- Non manca una grande e variegata famiglia, quella dei maccheroni, pasta realizzata con l’aiuto di un ferro apposta, tagliata a striscioline e lavorata facendola scorrere sul ferretto, fino a dare la forma voluta, tra cui gli indimenticabili minchiareddi. La loro forma cava sembra creata apposta per accogliere il sugo di pomodori.
Forse l’unico prodotto di panetteria a vantare il prestigioso marchio DOP: il pane di Altamura. Conosciuto in tutto il mondo grazie alla sua fragranza e al suo sapore, questo pane è diventato parte del patrimonio culturale e gastronomico pugliese.

Le origini
Un pane nato e pensato per soddisfare le esigenze di pastori e contadini per cui era un alimento essenziale e quotidiano. Essi, infatti, dovevano a volte stare per parecchi giorni lontani da casa, nelle masserie, le tipiche fattorie che sorgevano nel contado intorno alla città. Ecco allora che una grossa forma di pane consumabile per diversi giorni era una risorsa a dir poco preziosa.
Una tradizione secolare di cui si ha traccia fin dal poeta romano Orazio, che nelle sue Satire loda i forni della zona e consiglia ai viaggiatori di non lasciarsi sfuggire il delizioso pane.
Due sono quelli tradizionali:
- u Scquanét, più alto
- a cappidde de prévete (a cappello di prete) più basso e con meno mollica.
La ricetta originale
Questo celebre pane è ricavato dalla semola di alcune precise varietà di grani duri (appulo, arcangelo, duilio, simeto) coltivati ad Altamura e in alcuni comuni limitrofi (Gravina di Puglia, Poggiorsini), nel territorio ora delimitato dal disciplinare del consorzio di tutela.
Dal Medioevo fino ad oggi poco è cambiato: la ricetta è ancora la stessa, semplice, di secoli fa (semola di grano duro, acqua, sale fino e lievito madre) i forni sono ancora quelli tradizionali in pietra, il gusto è ancora eccezionale.
Le regole per ottenere la denominazione di Pane di Altamura DOP
A differenza del medioevo, però, ora il consorzio di tutela ha stabilito ferree regole per la produzione e precise caratteristiche che deve rispettare un vero Pane di Altamura DOP:
- un peso non inferiore a 0,5 kg,
- una crosta con uno spessore minimo di 3mm
- un’umidità non superiore al 33%
- l’impasto deve essere effettuato con lievito madre che viene ottenuto con un minimo di tre rinnovi
- si prevedono, inoltre, 20 kg di lievito naturale, 2 kg di sale marino, 60 litri di acqua (ad una temperatura di 18°) ogni quintale di semola rimacinata di grano duro.
L’impasto ha una durata di 20 minuti ed è effettuato con una impastatrice a bracci tuffanti. Si prevede che la lievitazione avvenga sotto un telo di cotone e deve durare almeno 90 minuti prima di procedere ad una seconda fase di riposo. Tale seconda fase inizia con la pesatura e prosegue con la modellatura che viene effettuata manualmente. Dopo una fase successiva di altri 30 minuti di riposo, si passa alla rimodellatura e ad una terza fase di riposo seguita da una ulteriore modellatura manuale e da altri 15 minuti di riposo.
A quel punto non resta che informare il composto ma prima di ciò, esso viene capovolto e, con una leggera pressione della mano, viene accompagnato nel forno precedentemente portato alla temperatura di 250°. Dopo una prima parte di cottura di 15 minuti a forno aperto, esso viene chiuso. Si aspettano altri 45 minuti.
Il Pallone di Gravina è un formaggio semiduro a pasta cruda filata, prodotto con latte bovino intero crudo proveniente dagli allevamenti dal bacino della Murgia Alta e della Fossa Bradanica. Sostanzialmente è un caciocavallo senza testina e dalla forma tondeggiante che si produce da gennaio a marzo ed è ottimo dopo tre mesi di stagionatura. Il suo peso va da 1 a 10kg.
Originario dell’area di Gravina, da cui prende il nome, attualmente è prodotto nella zona di Gravina in Puglia, di Matera e della Murgia Alta.

Preparazione del formaggio
Il latte col quale viene preparato questo particolare formaggio murgiano proviene da bovini di razza podolica. La sua storia è abbastanza antica, essendo già noto al tempo del Regno delle Due Sicilie, considerato come uno dei formaggi più popolari dell’Italia meridionale.
La tecnica di produzione del Pallone è analoga a quella del caciocavallo.
- Al latte viene aggiunto il caglio liquido di vitello o in pasta di agnello o di capretto.
- Una volta formata la cagliata, tagliata a fettine, si fila con acqua calda, poi la si raccoglie e la si fa stazionare sul “tompagno”.
- E’ in questa fase che al formaggio viene data la sua caratteristica forma sferica.
- La fase successiva prevede la salatura in salamoia, dopodiché i palloni sono posti ad asciugare un paio di settimane e poi messi ad asciugare in cantina.
La scorza del pallone risulterà così dura, liscia, robusta, di colore paglierino che tende al castano o al grigio-bruno nelle forme più stagionate; la pasta è filata, cruda, liscia, di colore paglierino che tende al dorato con la stagionatura, con eventuale leggera occhiatura.
Come consumare il Pallone di Gravina
Può essere consumato fresco già dopo circa 3 settimane, ma è soprattutto apprezzato se stagionato almeno 3 o 4 mesi. In questo modo la stagionatura gli farà acquisire una piacevole nota di piccantezza.
Il Pallone di Gravina, che oggi rientra tra i prodotti tradizionali regionali, viene mangiato generalmente negli antipasti o in mezzo al panino assieme alla mortadella e talvolta viene anche fatto sciogliere su alcune pietanze per dare loro maggior sapore.
Oggi questo prodotto caseario è diventato anche un presidio Slow Food, per tutelarne la tipicità e salvaguardarne la qualità.
Le orecchiette alle cime di rapa sono uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica pugliese, soprattutto della provincia di Bari ma si prepara in tutta la regione. È un primo piatto che ha origini nella tradizione contadina, semplice ma davvero gustoso, immancabile nei menu di tanti ristoranti. In questa pietanza, la delicatezza e rugosità della pasta fresca si sposa a meraviglia con il sapore deciso (e a volte amaro) delle cime di rapa e delle acciughe.
La storia delle orecchiette con cime di rapa risale al periodo medievale, tra il XII e il XIII secolo, periodo della dominazione normanno-sveva, nella zona di Sannicandro di Bari. Una volta pronta, la pasta veniva essiccata in modo da poterla conservare per periodi più o meno lunghi, anche sulle navi che partivano per lunghi viaggi. Considerata dote, con l’eredità passate di madre in figlia, le orecchiette si sarebbero diffuse nel resto della Puglia e in Basilicata.

La ricetta
Ingredienti:
- 500 g di orecchiette
- 1 kg di cime di rapa
- 10 filetti di acciughe sott’olio
- 2 spicchi d’aglio
- olio extra vergine d’oliva q.b.
- sale q.b.
- peperoncino q.b.
Preparazione:
- Per prima cosa, pulire le cime di rapa da porre poi in una pentola di acqua salata da portare a bollore.
- Aggiungere alle cime di rapa le orecchiette per farle cuocere insieme.
- A parte, in una padella, far soffriggere l’aglio e i filetti di acciuga fino a farli sciogliere.
- A piacere, aggiungere il peperoncino e il sale.
- Scolare le orecchiette e le cime di rapa e farle saltare nel tegame con le acciughe fino a far amalgamare tutti gli ingredienti.
In abbinamento a questa ricetta, si può gustare un vino bianco corposo e morbido che stemperi l’amarezza delle cime di rapa.
Un esempio è l’altrettanto pugliese Verdeca IGT della Valle d’Itria oppure il Bianco d’Alessano.