Luminarie del Salento

This is a modified py-6 that occupies the entire horizontal space of its parent.

Tra il Salento e la luce c’è un rapporto d’amore tutto speciale. Durante il giorno il sole illumina le meravigliose spiagge e risplende sul mare, oppure irrompe dalle finestre nelle antiche masserie, nei trulli e nelle ville. Dopo il tramonto i raggi lunari inghirlandano i porti o i banchi delle squisite tipicità locali. Ma c’è un’altra luce nella notte che sorprende e innamora le sere delle estati in Salento: quella delle luminarie. Si tratta di gigantesche strutture di luci colorate con vere e proprie scenografie musicali che sorgono nei paesi in occasione delle feste patronali.

Luminarie di Scorrano
Luminarie di Scorrano ©www.press.regione.puglia.it

Scorrano: “Capitale Mondiale delle Luminarie” in Salento

In Salento c’è un paese che festeggia in grande stile la sua Santa unendo fascino e folklore, tradizione e innovazione attraverso le sue magnifiche installazioni delle luminarie: Scorrano. A 30 km da Lecce, questo comune è diventato famoso in tutto il mondo e si è guadagnato l’appellativo di “Capitale Mondiale delle Luminarie“.

In occasione dei festeggiamenti per Santa Domenica, “madre” di tutte le feste patronali e patrona del paese, Scorrano s’illumina in un tripudio di luci, suggestioni e in suo onore vengono allestite delle scenografie pazzesche. “La Notte delle luci” è un rito unico nel suo genere che va in scena ogni sera all’imbrunire, dal 5 al 10 luglio. La prima impressione, infatti, è proprio quella di essere catapultati in una via di Las Vegas, uno spettacolo suggestivo per gli occhi di migliaia di visitatori e turisti che ogni anno si ritrovano col naso all’insù ai piedi delle incredibili architetture di luce realizzate dalle ditte locali.

Origini della festa

La Festa in onore di Santa Domenica rappresenta l’occasione di dimostrare l’amore per la nostra terra e per le nostre radici. Da qui, infatti, partono questi singolari artisti-artigiani della luce, che con le loro creazioni, hanno conquistato il mondo da Sanremo a Milano, dal Giappone agli Stati Uniti. I loro allestimenti lasciano a bocca aperta  e conquistano soprattutto per la loro imponenza. A Scorrano appartengono i migliori maestri dell’arte delle parature.

Le luci delle parature in origine erano ottenute con l’olio, poi si passò al carburo fino all’avvento dell’elettricità che permise di realizzare meravigliosi ricami di luce. Le origini della festa si perdono nelle notti del 1600 quando, secondo la leggenda, Santa Domenica, madrina e inconsapevole “pioniera” di questa “arte artigiana”, apparve in sogno ad un’anziana scorranese e le chiese, per liberare il paese dalla peste, che fosse acceso un lumicino di fronte a ogni finestra in segno di gratitudine, a testimonianza di affetto dei paesani per la santa. La Santa le disse che avrebbe protetto Scorrano ed i suoi abitanti dalla terribile malattia. In pochi giorni il paese brillò come un cielo stellato.

Scorrano ©www.pugliasera.it
Scorrano ©www.pugliasera.it

I Maestri dell’arte delle parature

Chiamati a portare “la luce” nelle feste di tutto il mondo, i maestri paratori si giocano in casa la sfida della fantasia e dell’innovazione, su disegni sempre più originali e precisi, spesso impressi solo nella mente, per la segretezza del progetto. Le luminarie di Scorrano, in Salento, sono dei veri capolavori di arte e tecnica, sculture di luce, dietro alle quali si nasconde un attento e complesso lavoro scenografico e di coreografia. Gli impianti possono raggiungere altezze titaniche arrivando a toccare alle volte i 40 metri di altezza, riproducendo grandi gallerie, torri, castelli e cattedrali.

Migliaia e migliaia di piccole lampadine colorate, montate seguendo ancora antichi metodi artigianali, su pezzi di legno d’abete dalle forme tortuose o geometriche, in disegni che sembrano grandissimi uncinetti colorati. Tradizione vuole che ogni anno, ogni ditta scelga un tema per le installazioni. Si va dall’intramontabile “amore” fino alle raffigurazioni di dolmen e piramidi, dal mito di Icaro a quelle ispirate al Dna.

La maestria dei paratori salentini ha raggiunto livelli così alti che le loro elaborate opere varcano ormai abitualmente i confini nazionali.

Natale a Scorrano

Il Natale di Scorrano assume un significato universale. E’ la festa dell’Uomo, di Gesù Cristo e insieme, come da tradizione antichissima, è la festa della Luce.

Ogni anno, dagli inizi di dicembre fino all’Epifania, Scorrano regala un’atmosfera da favola a tutti i suoi visitatori, per trascorrere le festività natalizie in armonia.

La Festa dell’Immacolata avvia ufficialmente il programma natalizio di eventi: tra tradizione, spettacoli, concerti gospel, arte, cultura, riti religiosi e tanto divertimento, ci saranno le nenie degli zampognari, la pista di ghiaccio (sempre aperta fino al 6 Gennaio) e per le famiglie con piccoli al seguito, la Casetta di Babbo Natale e il villaggio.

Le luminarie attraversano diverse vie del paesino di Scorrano: via Umberto I, Piazza Vittorio Emanuele, Via Lecce, Via Leuca e via Giuseppina Delli Ponti.

Un importante momento sarà, la Fiera di Santa Lucia: in quell’occasione gli zampognari, giunti dal Molise, sfileranno per le vie di Scorrano.

Feste patronali nel Salento: le più belle luminarie

Nel Salento, specie nel periodo estivo, le feste patronali sono tante. Ogni paese ha il proprio santo protettore che viene celebrato con grande partecipazione di fedeli e curiosi. Pur avendo ognuna delle peculiarità, queste manifestazioni sacre presentano dei caratteri comuni: la processione. Questo è il momento in cui il santo protettore è portato a spalla per le vie del paese, in lunghi cortei nei quali i momenti di preghiera sono frequentemente interrotti dai canti dei fedeli eseguiti da una o più bande operistiche.

Località come Leuca, Santa Cesarea Terme, Otranto offrono la possibilità di assistere a suggestive processioni a mare in cui il simulacro del protettore è posizionato su una barca abbellita con fiori, ghirlande e bandierine ed è seguita da una lunga scia di imbarcazioni.

Come feste patronali più famose citiamo:

  • Festa di Sant’Oronzo, Lecce (24 – 25 – 26 agosto)

È il tradizionale appuntamento con il quale si conclude l’estate dei leccesi. I festeggiamenti religiosi iniziano nel pomeriggio del 24 quando in Piazza Duomo parte la lunga processione per le vie del centro. Un ricco calendario di eventi e manifestazioni che si conclude il 26 a sera con lo spettacolo notturno dei fuochi pirotecnici.

  • Festa di Santa Cristina, Gallipoli (23 – 24 – 25 luglio)

Patrona di Gallipoli da quando nel 1867 liberò la città dal colera, è oggetto di grande devozione nei tre giorni di festa a lei dedicati. Una statua in cartapesta che la ritrae legata ad un palo e trafitta dalle frecce è posta nella chiesetta affacciata sul porto antico della città. Un momento caratteristico della festa è “la ‘cuccagna’, una gara fra ragazzi che si devono arrampicare lungo un palo sporco di grasso che sporge sull’acqua per recuperare la bandierina posta all’estremità di esso.

  • Festa di San Pietro e Paolo, Galatina (28-29-30 Giugno)

Un evento unico per rivivere il nostro centro antico, ballare al ritmo della pizzica, visitare i Santi Protettori e degustare ottimi spumoni, mafalde e pasticciotti.

  • Festa di San Luigi, Calimera (21 Giugno)

Ogni anno, nel giorno del solstizio d’estate e in coincidenza con la festa di San Luigi, colorati lampioni realizzati con materiali poveri quali canne, fil di ferro, colla e carta velina illuminano in maniera molto suggestiva le strade e le corti del centro storico di questo piccolo comune della Grecìa Salentina.

  • Festa dei Santi Martiri, Otranto (13-14 Agosto)

Il 13 agosto è interamente dedicato alla commemorazione civile dell’eccidio di Otranto. Il 14 agosto in Cattedrale si svolge il solenne pontificale presieduto dall’Arcivescovo. Nel pomeriggio, si svolge la processione con l’urna contenente le reliquie dei SS. Martiri trasportate per le vie della città.

L’olio extravergine d’oliva è un vero vanto della tradizione culinaria pugliese, tanto conosciuto in Italia quanto nel resto del mondo come un prodotto davvero eccezionale che riesce ad esaltare ed arricchire qualsiasi pietanza o gustato su una semplice fetta di pane. La Puglia è il primo produttore in Italia di olio extravergine d’oliva (da sola riesce a produrre circa il 60% di tutta la produzione nazionale). Quattro tipi di olio extravergine d’oliva pugliesi hanno ricevuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP): Dauno, Colline di Brindisi, Terra d’Otranto e Terra di Bari.

Ma all’oro verde pugliese sono spettati anche moltissimi riconoscimenti internazionali e premi prestigiosi come la Silver Medal Award di Los Angeles oppure il primo posto alla New York International Olive Oil Competition, entrambi conferiti nel 2016 all’olio Bio del Frantoio Raguso di Gravina in Puglia.

Olio extra vergine d'oliva
olio extra vergine d’oliva

La storia

Da secoli, tutte le attività riguardanti la produzione dell’olio extravergine d’oliva si sono tramandate di generazione in generazione per conferire un prodotto di qualità eccellente. Tutte le fasi seguono dei precisi schemi che portano all’ottenimento di uno dei migliori oli extravergine d’oliva d’Italia.

  • In passato l’olio extravergine d’oliva veniva utilizzato non solo come alimento ma anche come prodotto di bellezza oppure come combustibile per le lampade. In Puglia è probabile che gli ulivi fossero presenti sin dal Mesolitico, tuttavia inizialmente non si riuscivano ben a capire le sue potenzialità. Certo è che la coltivazione venne introdotta dai Greci mentre le procedure di spremitura e di coltivazione sono da attribuire ai Romani.
  • Nelle epoche successive, la Puglia già si era imposta come massima produttrice di olio di oliva tanto che bisognava cercare il modo per conservarlo al meglio e proteggerlo anche dalle mani di pericolosi stranieri. Così, sin dal 1200 e fino alle metà del 1700, i vecchi granai dell’età Messapica furono sostituiti da frantoi sotterranei, definiti frantoi ipogei.
  • L’arrivo dei Bizantini nel IX secolo, infatti, aveva segnato un cambio di rotta del commercio, passando da quello del grano a quello dell’olio. I frantoi ipogei non erano altro che strutture sotterranee (scavate da due a cinque metri sotto il livello stradale) che permettevano di poter lavorare e conservare al meglio le olive e l’olio dal momento che qui la temperatura rimaneva più stabile rispetto all’esterno dove invece, soprattutto in estate, poteva diventare troppo elevata ed alterare sia il frutto che l’olio ottenuto. Questi frantoi rispondevano anche all’esigenza di rendere più facile la spremitura delle olive dato il calore che qui si poteva generare grazie ai lumi o al fiato degli uomini e degli animali portati sottoterra. Inoltre, si potevano nascondere le varie fasi di lavorazione dei trappitari (gli operai) da occhi indiscreti di possibili nemici. Ad ogni modo, anche se ora i frantoi apogei sono dismessi, rappresentano una sempre più frequentata attrazione turistica del Salento.

Tantissime tecniche e procedure di lavorazione sono arrivate fino ai giorni attuali e sono tutt’ora applicate alle tantissime piante di ulivo. L’albero di ulivo riesce a garantire una buona produzione per diversi anni, tuttavia ha bisogno di molta cura soprattutto in primavera per garantire la fioritura e in estate per consentire alle olive di diventare più grandi e al nocciolo di indurirsi. Soltanto con una buona concimazione e con il giusto apporto di acqua si riuscirà ad ottenere un ottimo olio extravergine d’oliva.

Le zone di produzione dell’olio extravergine di oliva pugliese

La Puglia è stata divisa in nove zone di produzione dell’olio extravergine di oliva in base a dei parametri colturali che prendono in considerazione territori e condizioni climatiche diverse, il numero medio di piante per ettari, le varietà di olive, i metodi di raccolta, spremitura e lavorazione e la produttività. Le tipologie di olio extravergine di oliva pugliese delle zone della Daunia, Terra di Bari, Brindisi e Terra d’Otranto, sono state insignite della Denominazione di Origine Protetta (DOP).

In ognuna di queste zone si produce un olio con diverse caratteristiche conferite dalle diverse olive da cui si ottengono: più dolce e fruttato, più intenso oppure più piccante o leggermente amaro, tipico dell’olio ottenuto da olive verdi e non ancora del tutto mature. Ad ogni modo si tratta di oli extravergine d’oliva che possono incontrare i diversi gusti dei palati degli assaggiatori.

DAUNIA

In particolare, la prima zona di produzione dell’olio extravergine d’oliva pugliese è quella della Daunia. Le tipologie di olive di questa zona conferiscono all’olio extravergine d’oliva prodotto, un gusto fruttato e dolce. In particolare:

  • il Daunia-Gargano è un olio prodotto dall’oliva Ogliarola dal sentore aromatico e adatto da abbinare a zuppe e legumi ma anche ad antipasti.
  • il Daunia-Sub appenino e basso Tavoliere è realizzato a partire dall’oliva Coratina che gli dona una nota di amarognolo rendendolo perfetto per condire bruschette o insalate.
  • il Daunia alto Tavoliere è ottenuto dall’oliva Peranzana che arricchisce l’olio di un profumo floreale che ben si sposa con pietanze di mare.

TERRA DI BARI

La seconda zona di produzione è quella della Terra di Bari in cui sono tre tipi di olio extravergine d’oliva.

  • Castel del Monte (la zona a nord del barese), realizzato a partire dall’oliva Coratina, ha un sapore piccante e leggermente amarognolo. Può essere utilizzato per arricchire bruschette, insalate o verdure bollite.
  • Bitonto, prodotto con olive Cima di Bitonto e Ogliarola che donano all’olio un sentore di mandorla e un sapore più equilibrato che ben si presta ad accompagnare carne grigliata o arrosti.
  • Murgia dei Trulli e delle Grotte (zona sud barese), ottenuto con l’oliva Cima di Mola, è il più dolce e utilizzato sulle pietanze a crudo.

BRINDISI

Le terza zona di produzione è quella di Brindisi e di alcuni comuni della provincia (Carovigno, Ceglie Messapica, Cisternino, Ostuni, San Vito dei Normanni, Sammichele Salentino, Villa Castelli e Fasano) in cui si produce l’olio extravergine d’oliva Colline di Brindisi, realizzato con olive diverse: la Leccino, la Coratina e il Frantoio per il 30% e l’Ogliarola barese per il 70% che, nell’insieme, conferiscono all’olio un dolce sapore rendendolo perfetto per condire pietanze di pesce o primi piatti.

TERRA D’OTRANTO

Infine, la Terra d’Otranto è un’altra zona di produzione che comprende comuni della provincia di Lecce e della provincia di Taranto. Qui sono prodotte 3 tipologie di olio extravergine d’oliva, tutte fruttate e molto aromatiche, perfette per condire a crudo diversi cibi o piatti.

  • Terra d’Otranto (zona a sud di Brindisi) è ottenuto con olive Collina di Nardò o Saracena ed Ogliarola leccese o salentina.
  • Terra d’Otranto (zona di Taranto orientale) è realizzato sempre con le olive Collina di Nardò o Saracena ed Ogliarola leccese o salentina.
  • Tarantine (zona di Taranto occidentale) è prodotto a partire da olive Leccino- Frantoio e Coratina.

Ricette con olio extravergine d’oliva pugliese

L’olio extravergine d’oliva anche se molte volte non è l’ingrediente principale di un piatto, contribuisce a a conferire gusto e delicatezza a molte pietanze. Ci sono alcune ricette che riescono ad esaltare il sapore di questo prezioso ingrediente come la tipica bruschetta che, senza olio, non sarebbe la stessa. Anche la tipica frisella pugliese, condita solo con origano, sale e olio extravergine d’oliva diventa un antipasto o un aperitivo gustoso e saziante.

Passando ai primi piatti, il Pancotto, realizzato con pane raffermo e condito con patate, cime di rapa e pomodori, il tutto innaffiato con abbondante olio. Un altro primo che si può realizzare con protagonista l’olio extravergine d’oliva pugliese sono gli spaghetti aglio, olio e peperoncino.

Forse non tutti sanno che l’olio extravergine d’oliva pugliese è molto utilizzato anche per le preparazioni dolci come sostituto del burro o dell’olio di semi e conferisce una consistenza più morbida e soffice agli impasti. Può essere utilizzato per creare torte o ciambelloni all’olio d’oliva, dolci molto semplici e genuini perché fatti solo con farina, latte, zucchero, uova e olio. Già solo questo ingrediente riesce a rendere il dolce più leggero ma allo stesso tempo gustoso senza il bisogno di aggiungere cacao, cioccolato o creme.

Ci sono luoghi in cui le feste e le occasioni per unire socialità a musica, danza e buon cibo si alternano per tutto il corso dell’anno. Il Salento è uno di questi posti e proprio per via di una spiccata presenza di feste all’aperto e occasioni da condividere in “piazze” e luoghi pubblici, la tradizione del cibo di strada, è molto forte e presente. Dalle feste religiose che diventano occasione di concerti e momenti di condivisione e spettacoli che lasceranno senza fiato, agli stand enogastronomici che accompagnano tutte le manifestazioni. A stimolare il palato e a fare gola non saranno i soliti hamburger e patatine fritte, ma originali e inediti piatti preparati all’istante e pronti da gustare passeggiando per le vie delle più belle città italiane. Parliamo del primo format interamente salentino dedicato al cibo di strada di qualità: lo Street Food salentino.

Scapece Gallipolina

Colpisce prima per i suoi colori e poi per il suo odore da far venire l’acquolina, per il suo sapore forte e prelibato: la scapece è un piatto antico, dei tempi in cui le battaglie e le invasioni in questa terra di conquista tenevano gli abitanti chiusi nelle mura e nell’impossibilità di avere altro cibo se non quello a lunga conservazione. Il pesce di piccola taglia immerso in pane, sale e zafferano era tra questi.

Oltre ai ristoranti e trattorie di Gallipoli e zone limitrofe, la scapece viene servita durante le feste patronali e nelle sagre.

Scapece salentina
Scapece salentina

Il Rustico leccese: lo street food salentino per eccellenza

È probabilmente lo street food che maggiormente contraddistingue il Salento, è il tipico cibo di asporto da bar ma è anche molto amato dai locali durante gli aperitivi e come spuntino veloce nelle pause pranzo di poco tempo. Il rustico è composto da una sfoglia circolare ripiena e cotta al forno. Anche qui due scuole di pensiero, riconoscibili in due bar di Lecce: da un lato Natale, probabilmente il più amato dai leccesi, propone un ripieno a base di besciamella e pomodoro, dall’altro Citiso il cui rustico è farcito con la mozzarella, che si dice sia in realtà la preparazione originale e tradizionale.

rustico leccese
Rustico leccese ©katrinshine via Canva

Olive Piccanti

Sono un must per le feste patronali e in diverse sagre. La primavera è il momento in cui sono più gradite, insieme all’estate, per via della loro perfetta adattabilità a birra fredda e bevande fresche. In realtà si possono anche trovare, insieme a lupini, noci, frutta secca nel “mercato grande” di Lecce che si tiene ogni lunedì e venerdì in Viale dello Stadio!

Calzone fritto

Si tratta di una mezzaluna di pasta fritta della lunghezza di circa 15 centimetri ripiena di pomodoro a pezzetti e mozzarella. Il calzone fritto è la versione mignon del panzerotto barese, tanto che gli appetiti più vigorosi non si fermano mai a uno solo!

calzone fritto salentino
calzone fritto salentino

Frisa

Immergerla nell’acqua per pochi istanti è quasi un rito, poi si condisce con olio d’oliva, pomodorini paesani, sale e origano. Il più importante dei simboli della gastronomia salentina consiste in un panetto di grano duro cotto, tagliato a metà e lasciato a biscottare nel forno.

frisa salentina
frisa salentina

Fish & chips alla leccese

Per strada o nei ristoranti più chic, basta un cono di carta paglia e la versione salentina del “fish and chips” è servito.

La rivisitazione del celebre piatto britannico è una novità che l’associazione Slow Food Puglia propone da qualche anno in occasione di kermesse gastronomiche. Oltre alle patate il piatto è composto dalla frittura di paranza, soprattutto a base di calamari, seppioline, polpi e fracaja, il nome con cui i salentini indicano i pescetti piccoli che possono essere mangiati solo stagionalmente, causa fermo biologico. Ad Otranto si trovano alcuni dei migliori ristoranti dove poterla assaggiare.

Puccia

Si tratta di un pane con un impasto simile a quello della pizza, ma con tempi più ridotti di lievitazione. La puccia è farcita nelle maniere più disparate: con salumi, formaggi, verdure grigliate o arrosto (come i peperoni), salse, carne. C’è anche chi ha rivisitato il gyros, piatto tipico della Grecia, utilizzando la puccia al posto della pita e farcendola con tzatziki o con maionese.

Puccia salentina
Puccia salentina ©milla1974 via Canva

Pettole: street food salentino tipico delle feste natalizie

Se nelle case sono un cibo tipico delle festività invernali, nelle sagre di paese le pettole diventano adatte a tutte le stagioni, affollando gli stand dai quali proviene il loro profumo invitante. Hanno una storia antica e prendono nomi differenti secondo la zona dialettale. Le varianti più frequenti sono a base di cavolfiore, alla pizzaiola o vuote, cioè a base di sola pasta fritta.

pittule salentine
pittule salentine ©foodphotographer.puglia via Canva

Pasticciotto leccese

E’ il re dei dolci salentini, erroneamente chiamato pasticciotto leccese, ma non è nato nel capoluogo, bensì a Galatina nella storica bottega della famiglia Ascalone, ancora esistente. Si narra che a seguito di una produzione di torte con la crema, al pasticciere fosse avanzata della pasta frolla e della crema e abbia deciso di recuperare tutto in piccolo creando il pasticciotto. La realizzazione di questo dolce tipico presenta scuole di pensiero differente: ci sono pasticcieri che preparano la pasta frolla con lo strutto, come avviene per una delle numerose versioni della pastiera napoletana, altri che preferiscono grassi meno invadenti nell’odore e nel sapore, come il burro. Qualcuno mette uno strato di marmellata o crema di nocciole o cioccolato sul fondo per dare stabilità al dolce. Qualche anno fa, nella pasticceria Chèri di Campi Salentina, è nata una variante del pasticciotto classico, l’Obama, interamente al cioccolato.

pasticciotto leccese
pasticciotto leccese ©sabinoparente via Canva

Panino con pezzetti di cavallo

Il panino con i pezzetti di cavallo è un must dello street food salentino: lo incontriamo nelle sagre di paese, sui camioncini dove viene preferito all’hamburger o all’hot dog e nelle piccole osterie da asporto. In una pignata di terracotta si mettono a cuocere i pezzetti di cavallo con olio di oliva, carota, sedano e cipolla, ma non direttamente sul fuoco, piuttosto con un lato del tegame adiacente alla fiamma, rivoltando i pezzetti di tanto in tanto, finché non termina la cottura.

Municeddhre

Non è propriamente un piatto dello street food salentino perché viene servito anche in ristoranti e trattorie, ma nelle sagre e soprattutto durante la Festa della Municeddhra a Cannole (LE), in estate, si può trovare anche in versione cibo da strada. Municeddhre è il nome generico per le lumache piccole e marroncine, con o senza la panna, ossia lo strato di pellicola con cui le lumache si chiudono in letargo: queste sono soffritte e servite con il loro sughetto. Disponibili come street food anche le cozze piccinne, lumache piccole e bianche che vengono bollite e servite con olio di oliva e origano. Ci sono infine i murruni, lumache grandi e marroni che vengono preparate come una variante delle francesi escargot, a testimoniare come i normanni siano stati qui un bel po’.

municeddhe salentine
municeddhe salentine ©foodphotograpger.puglia via Canva

Se si domanda a un pugliese qual è il piatto tipico natalizio della sua terra, verrà prevalentemente indicato un dolce, molto probabilmente i Purcidduzzi salentini e le Cartellate baresi. Queste preparazioni portano con sé una mescolanza di profumi e sapori propri di quel periodo dell’anno, della propria infanzia, della propria famiglia.

purcidduzzi, struffoli
Purcidduzzi salentini ©SaraTM via Canva

Gli antichi contatti arabi e spagnoli hanno influenzato certamente la produzione dolciaria pugliese, ma gli elementi impiegati per la preparazione provenivano e provengono dalle nostre campagne. Mandorle, miele, grano, fichi, mele cotogne, ricotta, olio d’oliva costituiscono le buone materie prime adoperate per preparare dolci semplici come le cartellate e dolci più elaborati e ricchi come il pesce di pasta di mandorle dell’antica tradizione dei monasteri femminili pugliesi. E così, nonostante le differenze di forgia e le varianti gergali, quei preparati, tanto diversi da provincia a provincia, hanno in comune i prodotti della nostra terra.

I purcidduzzi salentini e le cartellate baresi, ad esempio, si preparano con medesimi ingredienti e secondo un procedimento molto simile. Le cartellate sono il dolce natalizio per antonomasia della tradizione popolare della Puglia. Da un impasto di farina, olio e vino bianco secco si ricavano delle fettucce di pasta che vengono modellate a comporre una spirale, con un disegno che ricorda una rosa, ricca di piccole concavità e interstizi che, dopo la friggitura, devono raccogliere il vino (o mosto) cotto o il cotto di fichi. Quest’ultima irrorazione e l’aggiunta finale di cannella e chiodi di garofano finemente tritati, di minuscoli confettini o di mandorle tostate, rappresentano l’elemento personalizzante delle cartellate, i profumi ed i sapori che riconducono al nostro Natale, alla nostra famiglia ed alla nostra tradizione.

Qui di seguito vi indichiamo gli ingredienti per una corretta preparazione dei Purcidduzzi.
La ricetta è un po’ particolare, ma il risultato sarà eccellente!

Purcidduzzi salentini ricetta originale:

Ingredienti:

  • 1 kg di farina,
  • 200 ml di olio di oliva
  • Spremuta d’arancia e mandarino
  • 1 Pizzico di sale
  • miele
  • pinoli

Procedimento:

  1. Impastate prima gli ingredienti elencati, e lavorateli a lungo.
  2. Unite poi piano piano la spremuta d’arancia e mandarino, oppure va bene solo d’arancia, insieme ad un pizzico di sale.
    La quantità di spremuta necessaria, è quella che fa si che l’impasto sia omogeneo.
  3. Quando l’impasto ormai è pronto, tagliatelo a pezzettini e con l’aiuto di una grattugia, girateli al rovescio schiacciandoli e facendoli scivolare verso il basso.
  4. Questi piccoli gnocchetti di Pasta, i Purcidduzzi Salentini, metteteli a scaldare nell’olio in una pentola e friggeteli. Fate attenzione che la temperatura dell’olio non sia troppo elevata.
  5. Quando i purcidduzzi saranno dorati, scolateli e fate assorbire l’olio.

Il sasanello gravinese è un tipico dolce della tradizione pugliese, in particolare di Gravina in Puglia. È realizzato con semplici ingredienti: farina, zucchero, vincotto di fichi e cioccolato che gli conferiscono il particolare colore scuro. Il profumo gradevole è invece dato dalla scorza di arancia e dalla cannella. Questo dolce, con il suo sapore inconfondibile, allieta non solo le festività natalizie ma qualsiasi altro periodo dell’anno, dato che non si gusta più soltanto a Natale ma ogni occasione è buona per apprezzarlo, per di più anche perché è molto facile da preparare in casa.

Infatti, anche se si può acquistare nei forni o pasticcerie di Gravina in Puglia e di molte altre località pugliesi della Murgia, il sasanello gravinese si può realizzare in poco tempo a casa propria.

Sasanello gravinese
Sasanello gravinese

La ricetta del sasanello gravinese:

Ingredienti:

  • 250 g di farina 00
  • 250 g di semola di grano duro
  • 150 g di zucchero
  • 100 ml di latte
  • 50 g di cacao amaro
  • 300 g di vincotto di fichi
  • 150 g di cioccolato fondente fatto a pezzetti grossolani
  • 50 g di olio extravergine d’oliva
  • 10 g di ammoniaca per dolci
  • scorza di mezzo limone non trattato
  • scorza di mezza arancia
  • un pizzico di cannella

Procedimento:

  1. Unire le due farine in una ciotola e, dopo aver fatto un buco al centro, aggiungere lo zucchero, la scorza del limone e dell’arancia, la cannella, il cacao e l’olio.
  2. A parte, in un pentolino, scaldare un po’ di latte a cui aggiungere l’ammoniaca per dolci in modo da farla sciogliere.
  3. Aggiungere il latte agli altri ingredienti e mescolare con un cucchiaio, quindi aggiungere il vincotto e impastare con le mani.
  4. Versare il resto del latte fino a che il composto non risulti liscio e morbido.
  5. Incorporare il cioccolato fondente tritato e continuare ad impastare il composto.
  6. Formare i sasanelli aiutandosi con un cucchiaio unto di olio: sarà sufficiente prelevare un po’ di impasto e adagiarlo su una teglia ricoperta di carta da forno e dargli la tipica forma tondeggiante.
  7. Infornare i sasanelli in forno caldo a 180° per 10-15 minuti dopo aver spolverato un po’ di zucchero semolato sulla loro superficie.

Il profumo speziato e il sapore straordinario di questo dolcetto morbido, lo rende perfetto per accompagnare un caffè o una tisana durante le proprie merende.

Curiosità sul sasanello gravinese

In origine, il sasanello gravinese veniva preparato durante i matrimoni o le feste nelle famiglie di medio-basso ceto. Oggi si prepara soprattutto a Natale ma è possibile gustarlo in tutto il periodo dell’anno e, sebbene sia tipico della Murgia pugliese, lo si prepara con piccole varianti anche in altre regioni del Sud, dove è conosciuto anche con il nome di “mustazzolo”.

La puccia è una pagnottella lievitata e “condita”, ormai tanto famosa da essere diventata uno dei simboli della gastronomia salentina. Ogni panetteria pugliese, tra i tanti pani tradizionali, vende le pucce; ma esistono anche vere e proprie puccerie, una sorta di originalissimi “fast food regionali”, esclusivamente dedicate a questo gustoso panino (le migliori cuociono la puccia nel forno a legna).
Sembra che l’etimologia della parola puccia derivi dal latino buccellatum, nome del classico pane rotondo (composto da olio, semola e acqua ), cioè “pane da trasformare in buccelli, piccoli tozzi, bocconi”. Anche se in origine la puccia era il pasto povero portato nei campi dai contadini al lavoro, oggi rappresenta uno degli dei cibi di strada più amati e consumati della regione, tanto da divenire il cibo cult di ogni turista in vacanza nel Salento.

Puccia salentina
Puccia salentina ©milla1974 via Canva

Esistono davvero molte versioni di puccia: morbide, croccanti e condite con gli ingredienti più disparati, da quelli tradizionali a quelli che incontrano i gusti più moderni, con pomodoro, salumi e formaggi.
La puccia probabilmente più famosa è quella con le olive nere – puccia cu’ ’lle ulie – le “celline di Nardò”, varietà locale di piccole olive che regalano all’impasto un colore e un profumo fruttato davvero particolare!
Altra puccia molto conosciuta è la puccia caddhipulina, preparata nella città di Gallipoli il 7 dicembre, la vigilia della festa dell’Immacolata Concezione: per consentire alle donne di seguire i riti religiosi senza l’incombenza della cucina e per osservare il digiuno come penitenza in vista della festa, il pasto della vigilia è costituito da una frugale puccia condita con acciughe sotto sale e capperi, oppure con l’aggiunta di tonno, pomodori e olio extravergine d’oliva.
A Taranto, invece, c’è la puccia alla vampa, una puccia di semola cotta al calore molto elevato del forno a legna (vicinissima alla fiamma del fuoco), in modo da avere un immediato rigonfiamento della pagnottella ottenendo l’interno molto morbido: viene farcita con il pomodoro, olio extravergine d’oliva, sale e ricotta forte, oppure con le rape stufate.

In generale possiamo dire che le pucce vengono lavorate con farina di grano tenero (in alcuni casi mista a semola di grano duro), acqua e un pizzico di sale. In molte case pugliesi, però, questa ricetta base è arricchita con olio extravergine di oliva o con patate lesse e schiacciate, due ingredienti che regalano alla puccia una morbidezza fuori dal comune.
Riportiamo qui una ricetta base, molto semplice e riproducibile, cui ognuno potrà apportare le proprie varianti e condimenti seguendo la tradizione, o la propria fantasia.

Ricetta della Puccia salentina

Ingredienti:

  • 1 kg di farina 0(è possibile utilizzare sia solo farina di grano, sia semola di grano duro, oppure un
  • 50% di farina di grano duro e 50% di semola)
  • 600 ml di acqua tiepida
  • 25 g di lievito di birra
  • 100 ml di olio extravergine d’oliva
  • 15gdi sale
  • 10 g di miele

Preparazione:

  1. Setacciate la farina nella ciotola della planetaria e unitevi il lievito sciolto in una parte di acqua insieme al miele. Azionate la planetaria inserendo la foglia e unite l’olio extravergine d’oliva e l’acqua tiepida a filo. Fate lavorare il tutto per qualche minuto e quando il composto sarà diventato una palla omogenea, unite anche il sale. Lavorate il tutto per un paio di minuti, in modo che il sale venga ben assorbito.
  2. A questo punto sostituite la foglia con il gancio e continuate ad impastare per circa 10-15 minuti, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Quando l’impasto sarà ben incordato, trasferitelo su un piano di lavoro infarinato e lavoratelo leggermente con le mani. Cercate di dare una forma quanto più possibile sferica e ponete l’impasto in una ciotola oleata.
  3. Copritela con della pellicola trasparente e lasciate lievitare in forno spento con luce accesa per circa 2-3 ore. L’impasto dovrà raddoppiare il suo volume.
  4. Trascorso il tempo di lievitazione, trasferite l’impasto sulla spianatoia e lavoratelo con le mani fino a formare un filone. Ricavate dei pezzi di impasto del peso di circa 90 g ciascuno. Prendete ciascun pezzo di impasto ed eseguite un movimento rotatorio in modo da ottenere delle sfere, che stenderete con un mattarello. Dovrete ottenere dei dischi del diametro di circa 20 centimetri.
  5. Disponete ogni disco ottenuto su una leccarda ricoperta di carta da forno e infornate a 250° in forno statico per circa 15 minuti. Sfornate le vostre pucce e lasciatele freddare, dopodiché tagliatele a metà e farcitele secondo i vostri gusti: per me un ripieno a base di crudo, mozzarella e pomodori. -Servite la puccia salentina e buon appetito.

Le pittule sono un piatto tipico della gastronomia salentina, tramandata dalle massaie e dalle nostre mamme e nonne, sono una prelibatezza che si prepara soprattutto nel periodo autunnale e invernale.

Qui vi presentiamo una ricetta per meglio comprendere la preparazione e gli ingredienti che si possono usare per gustare al meglio queste leccornie tipiche del Salento.

Le Pittule o Pettule sono delle frittelle di pasta lievitata della tradizione pugliese e possono essere preparate in differenti modalità: con lampascioni, cime di rapa, cozze, verdure, con olive nere e capperi ed infine inserite nell’impasto insieme a dei buonissimi pomodori secchi e poi ancora con gamberetti, calamari, baccalà oppure con cavolfiore.

Insomma sono un piatto nutriente, facile da preparare e che si presta a tutti i gusti, anche a quelli più particolari.

pittule salentine
pittule salentine ©foodphotographer.puglia via Canva

La ricetta delle pittule salentine

Ingredienti:

  • 1 kg di farina
  • un cubetto di lievito di birra
  • acqua tiepida
  • sale q.b.
  • olio di oliva per friggere

Preparazione:

  1. Versare la farina in un recipiente abbastanza capiente, aggiungere il lievito sciolto nell’acqua tiepida ed il sale, lavorare la pasta a lungo fino a quando non risulterà abbastanza elastica ed omogenea.
  2. Lasciarla riposare sotto una coperta di lana, per circa tre ore.
  3. Passato questo tempo, mettere l’olio di oliva sul fuoco, riprendere l’impasto e lavorarlo ancora.
  4. La procedura per la frittura è la seguente: si prende un po’ di pasta chiudendola nel pugno della mano, con l’altra mano (sempre bagnata) si raccoglie la pallina che ne fuoriesce e si getta nell’olio bollente.
  5. Tirarle fuori con la schiumarola quando saranno ben dorate e poggiarle su della carta assorbente.
  6. Si può utilizzare lo stesso impasto per fare le pittule “mischiate”: si prende un po’ di pasta tra le mani, la si avvolge al peperone (o a pezzettini di cavolfiore precedentemente lessati) e si passa nell’olio; oppure si può preparare un misto di cipolla tritata finemente, pomodorini, peperoncino, capperi, acciughe, sale, si unisce il tutto all’impasto e si friggono delle palline un po’ più grandi di quelle ricavate stringendo i pugni.

Per quanto riguarda i dolci, che sono una delle caratteristiche principali della tradizione gastronomica del Salento, ce ne sono di diversi tipi, ma quello che più rappresenta la bassa Puglia è il pasticciotto leccese.

Gli ingredienti base di questo dolce sono molto semplici: pasta frolla, realizzata rigorosamente con strutto bandendo burro e margarina, e crema pasticcera.

pasticciotto leccese
pasticciotto leccese ©sabinoparente via Canva

Origini del pasticciotto leccese

La sua origine risale almeno al Settecento, una delle storie più diffuse è quella che associa la nascita del pasticciotto alla pasticceria della famiglia Ascalone a Galatina durante i festeggiamenti per San Paolo, leggenda che però non trova nessun fondamento.

C’è chi invece rende tutto più semplice, dicendo che questo dolce sia soltanto una delle tante varianti del bocconotto abruzzese, data la somiglianza, oppure c’è anche chi lo fa derivare dal pasticciotto napoletano, che prevede l’aggiunta delle amarene.

Dove mangiare il pasticciotto leccese

Da Lecce in giù, il rituale della colazione prevede caffè e pasticciotto. Numerose pasticcerie sono divenute famose proprio grazie a questo dolce e sono tanti gli indirizzi dove poterlo assaggiare. Bisogna fare attenzione però a non incappare in prodotti preconfezionati e scongelati all’occasione, altrimenti si corre il rischio non solo di rimanere delusi ma anche di lasciare in bocca un sapore sgradevole. Capita spesso, purtroppo, che per velocizzare i tempi si adotta la stessa tecnica dei cornetti surgelati. Si comprano prodotti industriali che non posseggono nessuna delle caratteristiche tipiche del pasticciotto.

A Lecce si trova la pasticceria Natale, in Via Trinchese, ma pasticciotti buoni si trovano anche da Cadorna in Piazza d’Italia. Più noto a livello turistico è il Caffè Alvino in Piazza Sant’Oronzo.

Spostandosi nella provincia, a Galatina c’è la sopracitata pasticceria Ascalone, mentre a Nardò, prima di cedere l’attività, il miglior pasticciotto si trovava nella pasticceria da Egidio. Per chi desidera una versione più raffinata del dolce, nel ristorante Malcandrino di Monteroni, lo chef propone una rivisitazione giovane del pasticciotto scomposto.

Nella Masseria Stali, di Caprarica, dove la cucina di Rita e Leo Piccinno è genuina e proposta come fatta in casa, il pasticciotto leccese si trova in versione torta, che viene tagliata e servita a tranci ai commensali.
A Gallipoli si segnala la Caffetteria Martinucci e a San Cataldo la Pasticceria Nobile.

La ricetta originale del Pasticciotto leccese:

Ingredienti:

  • 500 g. di farina
  • 250 g. di burro
  • 200 g. di zucchero
  • 3 tuorli

Per la crema:

  • Mezzo litro di latte
  • 3 uova
  • 125 g. di zucchero
  • 1 bustina di vanillina

Procedimento:

  1. Per fare la pasta frolla, unire con le mani il burro e la farina. Fare una fontana e al centro mettere i tuorli d’uovo con lo zucchero, impastando molto rapidamente. Formare una palla ed avvolgerla nella pellicola, tenendola in frigo per 30 minuti.
  2. Per la crema invece, prendere una ciotola e mescolare le uova, lo zucchero e la vanillina, aggiungendo un po’ alla volta la farina setacciata. Versare il latte bollente sul composto e mettere sul fuoco, mescolando fino all’ebollizione. Togliere dal fuoco e lasciar raffreddare.
  3. Formare dei dischi da 30 cm. con la pasta frolla precedentemente tirata, riempire il fondo dellostampo, versare la crema e ricoprire con il secondo disco. Ricordate di chiudere il bordo ed infornare per 20 minuti a 180°.

Varianti del pasticciotto

Il pasticciotto leccese, pur essendo molto semplice, negli anni ha conquistato il primato della pasticceria salentina ed è stato inserito nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Il modo più giusto per degustarlo è mangiarlo caldo, appena sfornato. Naturalmente, dalla ricetta base, sono poi nate numerose varianti: alla crema pasticcera si possono aggiungere confettura alle amarene, crema al cioccolato e c’è anche la versione con la pasta frolla al cacao.

Nella riscoperta della cultura del cibo pugliese il ruolo della pasta fatta in casa è stato fondamentale. Una pasta rustica preparata mischiando alla farina tradizionale di grano duro la farina di semola rimacinata, dal pallido colore giallo. L’impasto viene fatto solo con l’acqua, raramente vengono aggiunte uova come invece è tradizione della pasta emiliana o piemontese per esempio.

pasta fatta in casa
Pasta fatta in casa

Le diverse forme della pasta fatta in casa pugliese

  • La forma della pasta fatta in casa è molto varia. Le tradizionali striscioline di pasta, somiglianti alle tagliatelle possono essere realizzate in molti modi. Stendendo la pasta sfoglia sottile e poi tagliata a coltello vengono denominate trie, con le quali si fa la famosa minestra con i ceci: “ciceri e trie”.
  • Oppure con uno speciale mattarello fornito di lame ed allora prendono il nome di troccoli, dalla forma sempre di tagliatelle ma di sezione ovale. Questi vengono utilizzati per accompagnare sughi di carne (vitello o, meglio ancora cavallo) che si sfaldano nella lunga cottura.
  • Poi c’è la grande famiglia delle paste “strascinate”, ovvero striscioline di pasta la cui forma viene data con un sapiente colpo di dita trascinandole appunto sul piano di lavoro, come i cavatelli, dalla forma allungata o le famosissime orecchiette, dei dischetti di pasta che un abile colpo di indice trasforma nella pasta ideale per essere accompagnata dai sughi a base di verdure stufate, come le famose cime di rapa, di una semplicità disarmante ma dal gusto indimenticabile.
  • E poi ancora ricordiamo le pappardelle ritorte, striscioline di pasta ripiegate su sé stesse e intrecciate, le sagne ‘ncannulate, anch’esse adatte a sughi particolarmente gustosi.
  • Non manca una grande e variegata famiglia, quella dei maccheroni, pasta realizzata con l’aiuto di un ferro apposta, tagliata a striscioline e lavorata facendola scorrere sul ferretto, fino a dare la forma voluta, tra cui gli indimenticabili minchiareddi. La loro forma cava sembra creata apposta per accogliere il sugo di pomodori.

Le orecchiette alle cime di rapa sono uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica pugliese, soprattutto della provincia di Bari ma si prepara in tutta la regione. È un primo piatto che ha origini nella tradizione contadina, semplice ma davvero gustoso, immancabile nei menu di tanti ristoranti. In questa pietanza, la delicatezza e rugosità della pasta fresca si sposa a meraviglia con il sapore deciso (e a volte amaro) delle cime di rapa e delle acciughe.

La storia delle orecchiette con cime di rapa risale al periodo medievale, tra il XII e il XIII secolo, periodo della dominazione normanno-sveva, nella zona di Sannicandro di Bari. Una volta pronta, la pasta veniva essiccata in modo da poterla conservare per periodi più o meno lunghi, anche sulle navi che partivano per lunghi viaggi. Considerata dote, con l’eredità passate di madre in figlia, le orecchiette si sarebbero diffuse nel resto della Puglia e in Basilicata.

orecchiette alle cime di rapa pugliesi
orecchiette alle cime di rapa pugliesi ©katrinshine via Canva

La ricetta

Ingredienti:

  • 500 g di orecchiette
  • 1 kg di cime di rapa
  • 10 filetti di acciughe sott’olio
  • 2 spicchi d’aglio
  • olio extra vergine d’oliva q.b.
  • sale q.b.
  • peperoncino q.b.

Preparazione:

  1. Per prima cosa, pulire le cime di rapa da porre poi in una pentola di acqua salata da portare a bollore.
  2. Aggiungere alle cime di rapa le orecchiette per farle cuocere insieme.
  3. A parte, in una padella, far soffriggere l’aglio e i filetti di acciuga fino a farli sciogliere.
  4. A piacere, aggiungere il peperoncino e il sale.
  5. Scolare le orecchiette e le cime di rapa e farle saltare nel tegame con le acciughe fino a far amalgamare tutti gli ingredienti.

In abbinamento a questa ricetta, si può gustare un vino bianco corposo e morbido che stemperi l’amarezza delle cime di rapa.

Un esempio è l’altrettanto pugliese Verdeca IGT della Valle d’Itria oppure il Bianco d’Alessano.