Musica del Salento: il ritmo della terra

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Chi nasce nel Salento difficilmente lo dimentica… È una sorta di magico contagio, un qualcosa che resta nel sangue, anche se la vita con le sue esperienze, dovesse portarti a migliaia di chilometri di distanza. Di questa magica terra che è il Salento, ci sono molte testimonianze, in particolare nella musica di molti artisti nati proprio qui. Artisti del calibro di Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Negramaro, Sud Sound System e tanti altri divenuti famosi lontano dalla propria terra d’origine, che non perdono occasione per ribadire quanto siano ancora legati al Salento, descrivendo estasiati le delizie culinarie che hanno caratterizzato la loro infanzia e i luoghi meravigliosi che hanno fatto da cornice alla loro giovinezza.

Pizzica salentina
Pizzica salentina ©www.turistiinpuglia.it

Musica dell’anima: pizzica e taranta

  • Ci sono melodie che sono legate indissolubilmente ai territori dai quali provengono, un tipo di musica che negli ultimi anni si sta facendo conoscere da un numero sempre crescente di persone, affascinando tutti con il suo ritmo ipnotico, sottofondo ideale per un paesaggio fatto di distese di ulivi, sole, terra rossa fertile e mare a perdita d’occhio: la pizzica.
  • Il Salento è richiamo e attrazione anche per le sue sonorità, i suoi canti e i suoi balli; patria della cultura del “tarantismo”, ossia della cultura della “taranta”. La taranta è un ragno che abita le campagne del Salento e secondo antiche e popolari credenze mordeva, o meglio pizzicava (da ciò prende il nome la musica e il ballo della “pizzica”) i poveri contadini che mettevano il piede fra i sassi o l’erba.
    L’unico modo per guarire da questo morso, che provocava forti dolori e movimenti irregolari di tutto il corpo, era quello di danzare al ritmo della musica, al ritmo della pizzica. La pizzica nasce perciò come ballo “curativo” dal morso della taranta.

La Notte della Taranta è il più grande festival musicale dedicato alla pizzica, itinerante nel Salento in agosto, con serata conclusiva a Melpignano, dove suona l’Orchestra Popolare diretta da maestri concertatori del calibro di Stewart Copeland, Ambrogio Sparagna, Ludovico Einaudi e Goran Bregovic e il grande Pino Zimba al cui nome si attribuisce subito la pizzica salentina. Numerosi gruppi promuovono la pizzica nel mondo, come l’Officina Zoè, il Canzoniere Grecanico Salentino, i Ghetonìa, i Tamburellisti di Torrepaduli.

Storia della musica popolare salentina

  • Per conoscere e capire le origini di questi ritmi dobbiamo partire dagli anni ’60, quando l’emigrazione divenne un vero e proprio fenomeno di massa. Migliaia di salentini andarono in ogni dove alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita, allontanandosi dal loro contesto culturale di origine.
  • Nel frattempo avvennero due abbandoni importanti: il progressivo abbandono delle terre e l’abbandono del tarantismo. Insomma, il tarantismo venne condannato dalle nuove generazioni, sempre più attente alle nuove proposte culturali e sempre meno interessate ad apprendere dai padri le storie, i canti e i suoni della tradizione. Questi ultimi, preso atto di ciò, iniziarono un vero e proprio fenomeno di ritiro a vita privata, che tenacemente continuavano a cantare, a suonare, a raccontare storie, a produrre strumenti musicali, ma erano pochi e lo facevano per lo più in contesti privati e per passione. Grazie a queste persone iniziò il fenomeno della riscoperta.
  • Alcuni di questi giovani riscoprirono i canti in chiave politica, visto gli anni ’70 un periodo di movimenti, contestazioni, ideologie che ormai pervadevano le menti e i cuori di molti giovani: il comunismo e il socialismo.
    Insomma, da questa multiforme ed eterogenea congerie culturale, nacque, sull’onda del successo del Nuovo Canzoniere Italiano dapprima il Gruppo Folk Salentino, poi il Nuovo Canzoniere del Salento ed infine il Canzoniere Grecanico Salentino.
  • Tra gli anni ’80 e i primi anni del 2000 iniziarono i primi concerti di gruppi di musica popolare salentina anche fuori dal territorio pugliese, a motivo delle sempre più numerose richieste di musica etnica, poiché in tutta Italia iniziarono a fiorire festival di musica popolare, come la celebre Isola Folk di Bergamo, il festival di musica popolare di Forlimpopoli o il Pisa Folk Festival.

Il raggae salentino

Il Salento si è trovato al centro dell’attenzione turistica, per numerosi motivi. Anzitutto perché il percorso di riscoperta della musica popolare e delle tradizioni locali ha incuriosito numerosi studiosi, che si recavano in Salento per analizzare un fenomeno peculiarissimo: sagre, feste e piazze invase da gente desiderosa di suonare, cantare e riprendere vecchie musiche popolari. Dunque, sino a pochi anni fa, il turismo salentino era prevalentemente “etnico” e, comunque, indirizzato a conoscere le tradizioni locali.

Altro motivo che ha portato fama al Salento è legato alla musica reggae. Il reggae salentino nasce sul finire degli anni ’80, questa storia coincide con la storia di un gruppo di ragazzi (che poi diverranno i Sud Sound System) e del loro amore incondizionato verso la musica Reggae, in quella terra, il Salento, così lontana dai cosiddetti “circuiti” e allo stesso tempo così ricca di cultura e tradizioni.

Ma, come spesso succede, la storia del reggae salentino non è geograficamente circoscritta alla provincia di Lecce, essa infatti si intreccia con quella delle case occupate a Bologna, città dove la maggior parte dei componenti del gruppo ha risieduto per motivi di studio. Qui sul finire dell”88 i giovani salentini davano vita a mitiche apparizioni stradaiole sotto i portici di via Avasella 12 e nei locali occupati della neonata Isola Nel Cantiere.

Sempre a Bologna si apriva un’altra parentesi del reggae salentino: con Treble alla chitarra e voce, Gopher alla batteria e Giorgio Pizzi al basso, nascono nell’ottobre dell”89 i Rough Ryders, una band che fece il giro delle università che erano in occupazione a Bologna. Di loro resta un solo demo oggi introvabile (One Blood).

Si svilupperanno in seguito, altri gruppi di musica raggae in Salento come i Boomdabash, Mama Marias, Ghetto Eden e molti altri ancora.

Profili musicali

A seguito della riscoperta dei canti popolari salentini, la musica tradizionale del Salento ha continuato a raccontare storie e si sono formati negli anni numerosi gruppi di riproposta.

  • Sul profilo testuale, significativo è l’esempio del gruppo Aramirè (Compagnia di musica salentina), che hanno dato ampio risalto alle tematiche sociali attuali.
  • Un’artista cresciuta nella società contadina e successivamente maturata artisticamente e culturalmente, tanto da essere divenuta una sorta di sintesi tra evoluzione musicale e memoria, è Anna Cinzia Villani.
  • Sul profilo musicale, interessante è il progetto del gruppo Mascarimirì, che lega la pizzica-pizzica ad altre musicalità (gitane, orientali, dub, etc.). I Mascarimirì sono anche impegnati nel recupero delle sonorità tradizionali unendo la ricerca sonora alla critica della banalizzazione della musica popolare.
  • Sempre sul profilo musicale va dato risalto al gruppo Officina Zoè, che ha saputo evolvere la musica popolare salentina proponendo sonorità tradizionali, ma allo stesso tempo nuove.
  • Sul profilo musicale e testuale grande attenzione merita il Canzoniere Grecanico Salentino, fondato nel 1975 da Rina Durante. Il canto proposto è spregevole non solo per il testo, ma anche perché il video è stato girato nella sede dell’ACAIT di Tricase.
  • Una grande attenzione merita Mino De Santis, cantautore salentino originario di Tuglie, che ha saputo analizzare pezzi di vita, di usi e costumi mischiando sapientemente nel canto l’uso del dialetto e dell’italiano.
  • Infine un cenno merita lo showman Andrea Baccassino, di Nardò che ha scelto di raccontare storie verosimili, con testi divertenti e usando come base canzoni famose, ovviamente in dialetto.

Artisti salentini

Negramaro
Negramaro

Ancora una volta il Salento, terra di pizzica, ma anche di reggae, jazz e pop, si dimostra terra fertile per la nascita di novità musicali da esportare sul territorio nazionale e sono tanti i salentini divenuti famosi nel campo musicale.

  • Negramaro, gruppo salentino che prende il nome da vino e dal vitigno. Nel corso degli anni i successi per questa band pop rock italiana sono stati innumerevoli: hanno partecipato a kermesse di musica nazionale e internazionale, hanno visto adottare i loro brani come colonne sonore di film, documentari e spot televisivi; hanno inciso brani musicali nei Sati Uniti, sono stata la prima band italiana a tenere un concerto allo stadio San Siro di Milano.
  • Emma Marrone divenuto personaggio famoso tra il 2009 e il 2010, dopo la vittoria ad Amici. Emma è salentina ed è vissuta per la gran parte della sua vita ad Aradeo con i suoi genitori di origini salentine; lei stessa si sente e definisce leccese. A contribuire al suo successo è stata la vittoria al 62° Festival della canzone italiana di Sanremo, nel 2012, con il brano “Non è l’inferno”.
  • Dolcenera è il nome d’arte adottato da Emanuela Trane. Lei nasce a Galatina e vive a Scorrano in provincia di Lecce insieme ai genitori e al fratello minore. Il suo primo successo risale al 2003 con la vittoria della 53° edizione del Festival di Sanremo con il brano “Siamo tutti là fuori”.
  • Alessandra Amoroso, nata a Galatina e vissuta a Lecce, raggiunge il successo nel 2009 partecipando al talent show Amici di Maria De Filippi. Le capacità di Sandra, così la chiamano gli amici, sono subito evidenti ad artisti del calibro di Laura Pausini e Gianni Morandi i quali le manifestano la loro stima.

Molto spesso rami di ulivi, tralci di vite e fusti di fichi d’india nascondono vecchie cicatrici: ruderi abbandonati che manifestano, a noi che ci avviciniamo rispettosi, la fierezza di far parte della rossa e calda terra del Salento. Sono le masserie l’oggetto indiscusso della nostra memoria, la testimonianza di ciò che siamo, il pretesto per rimanere legati alle nostre radici del Salento.

Masserie in Salento
Masserie in Salento ©www.beborghi

Storia e funzione delle masserie salentine

La masseria, dal latino massa, ossia “insieme di fondi”, è un insediamento edilizio rurale tipico del XVI – XVII secolo, che ha rappresentato per lungo tempo il tipo di azienda (a carattere agricolo-pastorale) più diffuso in Puglia, diventando a pieno titolo espressione della cultura contadina locale.

Al di là dell’aspetto agricolo, il fenomeno masserizio è legato, senza ombra di dubbio, ad una funzione difensiva: dopo la caduta dell’impero bizantino, nel 1453, la penisola salentina divenne meta frequente di saccheggi e di incursioni piratesche. Nel corso del XVI secolo, per ovviare a tali attacchi, Carlo V d’ Asburgo decise di rafforzare la costa adriatica e ionica attuando un piano di difesa che portò alla realizzazione di torri e di mura intorno alle masserie che per questo vennero definite “fortificate”.

La “masseria fortificata”, è una struttura costruita in piena campagna e isolata dai centri urbani, con l’intenzione di tutelare l’incolumità dei suoi abitanti, e pertanto sempre protetta da una massiccia recinzione, il luogo ideale in cui difendersi dai pirati, dai saraceni e dai briganti che imperversarono nel Meridione d’Italia. Questo fenomeno è visibile su tutto il litorale adriatico salentino, da Brindisi fino a Otranto ed anche sul versante dello ionio, dal Capo di Leuca.

Si può dunque affermare con certezza che la nascita di questi complessi rurali è legata al contesto socio-economico del Mezzogiorno.

Architettura delle masserie del Salento

Le masserie furono realizzate tenendo conto di un certo gusto estetico ed architettonico, grazie alla maestria di artigiani e muratori che lavoravano la pietra, il carparo o il tufo. Al tempo stesso, si tratta di insediamenti costruiti in un’ottica di funzionalità, per rendere meno dura la vita tra i campi e quindi per alleggerire la fatica dei coloni, offrire soluzioni pratiche e garantire la massima fruibilità degli ambienti, in un perfetto equilibrio tra uomo e natura, tra il manufatto e il territorio.

Masserie in Salento
Masserie in Salento ©www.thelostavocado

Lo schema tipico della masseria in alcuni casi comprendeva una costruzione di tipo chiuso verso l’esterno e con le aperture tutte rivolte all’interno della corte o del grande cortile. Attorno al cortile si distribuivano diversi locali: l’abitazione del massaro, le stalle e i recinti per gli animali, le strutture destinate alla conservazione e alla lavorazione dei prodotti della terra e dell’allevamento ovvero stalle per i cavalli o per i muli nonché i locali per polli, conigli e volatili vari di allevamento. Altri locali servivano per il deposito degli attrezzi da lavoro e come ricovero delle carrozze padronali. Inoltre vi erano anche dei pozzi chiamate “pile”, cioè recipienti in pietra che contenevano acqua per il bucato, abbeveratoi e granai per le conserve.

Le stesse mura perimetrali, senza aperture, facevano da protezione contro intrusi e malintenzionati, permettendo anche una difesa eventuale contro assalti di briganti.
In genere una parte dell’edificio a scopo abitativo aveva uno o più piani alti nei quali abitava il “padrone” e la sua famiglia. I piani bassi erano adibiti all’uso abitativo dei contadini e come depositi delle provviste.  Nella maggior parte dei casi veniva costruita una cappella o chiesetta che serviva per le varie funzioni religiose.

Diversi tipi di masseria

Vi sono diverse costruzioni di masserie nel Salento:

  • a corte, la masseria viene costruita all’interno di mura che la racchiudono, difendendola dalle minacce esterne.
  • a tetto a trullo: case, pagliai hanno il tetto a trullo e sono di diversa grandezza. Alcuni esempi sono Masseria Ortolini e Masseria Ferrari (residenti a Martina Franca).
  • a copertura pignon: il tetto della casa è a pignon, tetto ripido e le costruzioni destinate alle mansioni sono a tetto a trullo.
  • a edificazione lineare: masserie che si caratterizzano per essere un´unica costruzione, con le abitazioni congiunte alle altre costruzioni.
  • a casino: costruzione che si sviluppa nel XIX secolo e che segna la distinzione più netta fra la casa del padrone e l’azienda (es. Luco, Mita).

Il Massaro

In questi sedimenti rurali inizialmente erano abitati dai contadini, i cosiddetti “massari” (responsabile del fondo agricolo), che dedicavano la loro vita alla coltivazione di prodotti necessari al loro sostentamento, ovvero coltivazione di grano, di cereali, alle olive, oltre all’allevamento del bestiame e alla produzione di latte e formaggio.

La masseria non era di proprietà del colono che vi dimorava e coltivava le terre circostanti, ma del latifondista che permetteva al contadino di soggiornarci con la sua famiglia, godendo di parte del raccolto.

Dal passato al presente: le masserie del Salento oggi

Dalla metà del XVII secolo, alcuni miglioramenti in ambito agricolo permisero di valorizzare ulteriormente l’ambiente rurale, determinando la nascita della masseria-villa in Salento.

Le masserie si arricchiscono, pertanto, di ricchi portali, di balconi e belvedere, di giardini e di decorazioni a stucco e con affreschi ornamenti che trasformano queste rurali e spartane strutture in piccoli gioielli di pregiata architettura luoghi di villeggiatura.

Oggi appaiono tra le strade statali o in mezzo alle campagne, con imponenza e dignità. Alcune sono state restaurate e talvolta destinate al turismo ospitando agriturismi, B&B o resort di charme, ma anche ville private dotati di tutti i comfort. Ambienti un tempo produttivi, i frantoi, le mangiatoie, i palmenti vengono restaurati per far riscoprire la cultura e la tradizione rurale ai turisti più attenti.

La rusticità diviene così un valore aggiunto del turismo. Altre, del tutto abbandonate, vivono una solitudine difficile e, forse, rischiosa, ma non priva di fascino, come quella di Monteruga. Un’immensa masseria nelle campagne di San Pancrazio, Salice e Veglie, una volta centro di un’intensa attività agricola, ed oggi abbandonata.

Dopo aver visitato la costa adriatica, ed essere giunti a Santa Maria di Leuca dove “il mar Ionio abbraccia quello Adriatico”, proseguiamo ora alla scoperta dell’incantevole costa ionica del Salento, fra spiagge paradisiache di sabbia bianca e mare cristallino, parchi naturali e riserve incontaminate, a differenza di quella Adriatica, principalmente di formazione rocciosa. Oltre 100 km di costa sabbiosa, dalle acque limpide e cristalline, ci attende in questo tour da Leuca sino a Punta Prosciutto.

porto cesareo
Spiagge di Porto Cesareo ©www.portocesareoesalento.com

Le spiagge più belle lungo la costa jonica del Salento

Tra le più belle spiagge della costa ionica del Salento rientrano senza dubbio quelle che fanno capo a Torre dell’Omomorto e Torre Marchiello (Castrignano del Capo), Torre Vado (Morciano di Leuca), Torre Pali (Salve), Torre Mozza e Torre San Giovanni (Ugento), Torre Suda (Racale). 

  • Torre San Giovanni, torre costiera suggestiva, con la sua alternanza cromatica a scacchi bianchi e neri, delimita idealmente una lunga spiaggia dai riflessi color smeraldo, tra le più amate sia dai turisti che dalla gente locale, che comprende anche il tratto di litorale che abbraccia la marina di Torre Mozza. Da qui ci si può imbattere nelle cosiddette “secche di Ugento” bacini che rappresentano un’altra straordinaria riserva naturale.

Mandorli, fichi d’ india e ulivi secolari accompagnano strade delimitate da muretti a secco che punteggiano la costa e conducono fino a Gallipoli definita anche la “perla dello Ionio“, con la parte antica della città arroccata su un’isola, che trasuda l’odore del mare da ogni pietra di cui è composta e le cui chiese sono tutte affacciate sul mare, quasi a sorvegliare sulle sorti dei pescatori.

Gallipoli
Gallipoli ©Isaac74 via Canva
  • Qui troviamo la marina di Mancaversa, un tratto costiero che per oltre quattro chilometri corre abbracciando la zona de Li Foggi sino alla Punta del Pizzo, comprendendo nel mentre Punta della Suina. Un paradiso per gli amanti della natura selvaggia, da scoprire e godere soprattutto nei periodi di bassa stagione. Suddivisa da un isolotto in due piccole baie, Punta della Suina è veramente una cornice da sogno alle vacanze perfette.
  • Baia Verde è considerato uno dei paradisi dei bagnanti, oltre a essere il cuore pulsante dell’intensa movida gallipolina. Le spiagge si aprono su un arenile bianco orlato da un’acqua dai riflessi color smeraldo, che danno il nome alla baia e affiancano il Parco naturale regionale Punta Pizzo.
  • C’è un tratto di costa, ancora, che sembra mutare con la velocità con cui cambia il vento. Parliamo di quella che abbraccia località come Rivabella, Padula Bianca e Lido Conchiglie, anch’esse considerate senza dubbio tra le più belle spiagge della costa ionica. Rivabella è un alternarsi di dune, sabbia bianchissima e cespugli di piante tipiche della macchia mediterranea, sino a raggiungere Padula Bianca con i suoi vari stabilimenti balneari che si snodano sino a Lido Conchiglie, il punto in cui la spiaggia cede il passo a una scogliera che resta comunque agevole e poco frastagliata.
Santa Maria al Bagno
Santa Maria al Bagno ©diegofiore via Canva

Nella zona di Nardò citiamo Santa Maria al Bagno. Famosa per le sue terme e per il porto romano, è una marina dal retrogusto vintage, dominata da antiche ville di fine Ottocento. Questa offre ai visitatori una deliziosa spiaggetta incastonata in una costa prevalentemente rocciosa, accessibile dai gradini che si aprono nella piazzetta del borgo. La spiaggetta è il regno incontrastato di famiglie con bimbi anche piccoli, che possono giocare in tutta tranquillità e senza troppo caos. 

C’è un’altra spiaggia, prevalentemente dominata da scogli ed è a Santa Caterina, in cui convivono un piccolo stabilimento balneare e una porzione di spiaggia libera. Essa è protetta dalla “Torre dell’Alto” che la domina dal «dirupo della Dannata» e dall’omonima torre del XVII secolo.

Notevole in questa zona il Parco naturalistico di Porto Selvaggio.

Il comune di Nardò, ancora, offre una spiaggia di sabbia fine, denominata la spiaggia di Sant’Isidoro. Inoltre c’è un’altra baietta, ai piedi di Torre Squillace, una delle tante torri di avvistamento che punteggiano le coste salentine.

Tra le mete predilette dai turisti, risalendo verso la parte nord della costa ionica, c’è Porto Cesareo, considerata alla pari per bellezza di diverse mete caraibiche, con il suo litorale lunghissimo, 17 chilometri di spiagge attrezzate guardate a vista da un arcipelago di isolotti, il più noto dei quali è l’Isola dei Conigli.

La costa Ionica del Salento è tra le più belle mete estive per chi ha voglia di una vacanza all’insegna del mare, divertimento e buona cucina.

La costa adriatica, ed in particolare quella del Salento, rappresenta un autentico scrigno di tesori dell’inestimabile valore; dunque un’occasione unica tutta da scoprire, soprattutto in estate quando viaggiate in macchina, nel nome della libertà e della spensieratezza.

Le vacanze estive sulla costa adriatica del Salento possono soddisfare pienamente turisti di ogni tipo, dalle coppie alle famiglie con bambini, dai giovani in cerca di divertimento a chi vuol semplicemente rilassarsi.

Il Salento, come noto, si affaccia sia sul mare Adriatico che sul mare Ionio, ed è proprio per tale ragione se questo lembo di Puglia è considerato un territorio davvero unico nel suo genere. Sbilanciarsi su quale sia la più bella costa salentina, se quella adriatica o quella ionica, è davvero impossibile, dal momento che entrambe vantano tantissime località mozzafiato.

Non vi resta altro da fare, dunque, che prepararvi al vostro viaggio in auto e scoprire quali sono i migliori itinerari del Salento!

Lungomare di Otranto
Lungomare di Otranto ©EunikaSopotnicka via Canva

Le località balneari da non perdere lungo la costa Adriatica del Salento

Acque trasparenti, profumi indescrivibili di macchia mediterranea, grotte marine e torri costiere, sono solo alcuni degli elementi più suggestivi che potrete trovare partendo dalle marine di Lecce, come Torre Rinalda (è la marina più a nord che prende il nome dall’omonima torre di fattura spagnola, oggi ridotta ad un rudere), Torre Chianca, Frigole (si distingue per le sue dune sabbiose e il bacino di Acquatina) e San Cataldo (ospita infine un’area protetta, la Riserva Protetta del Cesine).

Spostandoci a Sud troviamo le marine di Melendugno, San Foca, Torre dell’Orso e Sant’Andrea ognuna di loro presenta una particolarità.

Da Otranto sono facilmente raggiungibili le più belle spiagge del Salento, vicinissima è Baia dei Turchi, così chiamata per un evento tragico e cruento, lo sbarco dei Turchi durante l’assedio di Otranto e causa della successiva dominazione. La baia è una piccola spiaggia di sabbia finissima dove il mare è incredibilmente cristallino, un meraviglioso paesaggio naturale che il FAI nel 2007 ha dichiarato essere fra i primi 100 luoghi da tutelare in Italia. E’ stata dichiarata inoltre sito d’importanza comunitaria (SIC) ed è facente parte dell’Oasi protetta dei laghi Alimini.

Torre dell'Orso
Torre dell’Orso ©tommasolizzul via Canva

Le località culturali lungo la costa Adriatica

  • Torre Sant’Andrea, località caratterizzata da una costa prevalentemente rocciosa, ricca di grotte e piccole insenature, prende il nome dalla torre, dove è presente il faro, che domina sul piccolo porticciolo. Grazie anche al suggestivo spettacolo di luci e colori tra mare e cielo, Torre Sant’Andrea è amatissima dai turisti e molto frequentata soprattutto nelle calde serate estive, potendo anche contare sulla presenza di diversi locali che la rendono una delle località della movida della costa Adriatica.
  • Otranto è un piccolo paese situato nel punto più ad est d’Italia, antico capoluogo della terra, che si affaccia sul mediterraneo con il suo fascino orientale, e il suo mare limpidissimo; superato il centro abitato si giunge ad uno degli scenari più spettacolari ed incontaminati del Salento, tra la lingua bianca di punta Facì e il promontorio di capo d’Otranto (dominato dal faro di Punta Palascia, punto più a est d’Italia) si estende la Baia delle Orte, con una serie di piccole cale sabbiose protette dalla pineta. Nelle cui vicinanze si trovano le “terre russe”, vecchie cave di bauxite abbandonate trasformatesi in laghetti dai colori incredibili.
Faro di Punta Palascia
Faro di Punta Palascia ©staraldo via Canva
  • A pochi chilometri a sud di Otranto, si erge un’antica torre di avvistamento: la Torre del Serpe, una delle tante disseminate in tutto il Salento, costruite per avvistare subito la minaccia saracena. Il suo nome è legato ad un’antica leggenda, che avvolge il sito di un velato mistero e fascino avvolgente.
  • Proseguendo a Sud, si consiglia un tuffo nella piccola baia di Porto Badisco. Chi si reca qui in estate, può godersi un paesaggio unico: la baia è ricoperta dal manto giallo delle ginestre che spuntano sulle rocce, specchiandosi nel mare verde-blu, terso e cristallino. A Badisco potrete anche gustare il sapore impagabile dei ricci di mare, venduti sui banchetti o nelle trattorie tipiche del piccolo borgo.

Le grotte più belle lungo la costa Adriatica

  • San Foca ospita la famosa Grotta degli Amanti, secondo la leggenda così chiamata perché due giovani vi si rifugiarono per ripararsi dal freddo vento di tramontana. San Foca è un pittoresco centro di pescatori che regala un panorama suggestivo: all’orizzonte, quando il cielo è limpido, è possibile scorgere la sagoma delle montagne dell’Albania, distante circa 72 miglia.
  • Torre Dell’Orso è una località amata da numerosissimi visitatori che ogni anno la scelgono per trascorrere le proprie vacanze. A sud della scogliera è presente la grotta di San Cristoforo e ancora più a sud, a poca distanza dalla spiaggia, si incontrano due faraglioni, detti “Le due Sorelle”. Secondo la leggenda il nome deriverebbe da due sorelle che si tuffarono da una rupe nel mare in tempesta perdendo la vita e gli dei le tramutarono in faraglioni, affinché potessero ammirarne la bellezza in eterno.
  • A soli 7 km si entra nel territorio di Castro, in una cornice suggestiva tra il verde degli ulivi e un mare incontaminato, con una costa frastagliata, con insenature e gelide sorgenti. Poco prima dell’abitato le famose grotte di Castro tra cui la famosa grotta Romanelli al cui interno sono presenti graffiti a tinta rossa, le più antiche rappresentazioni umane nel campo delle arti figurative.
  • Dopo alcuni chilometri Santa Cesarea Terme, piccolo comune arroccato sulla costa, famoso per le stazioni termali e le qualità benefiche delle sue acque, e che nel suo agro comprende 16km di costa ricca di folte pinete e di acque profonde e smeraldine, numerosi faraglioni e calette (delle quali la più importante è quella di porto Miggiano). Qui la grotta più famosa è sicuramente la “Grotta della Zinzulusa” il cui nome deriva dal dialetto “zinzuli” cioè gli stracci, le particolari formazioni calcaree che ‘pendono’ dal soffitto.

Santa Maria di Leuca: dove si conclude il viaggio

Santa Maria di Leuca
Santa Maria di Leuca ©balatedorin via Canva

Il viaggio si conclude a Santa Maria di Leuca, situata precisamente nel vertice di quello che è il “tacco d’Italia“, e perciò chiamata anche “de finibus terrae”, dove da sempre si crede che il Mare Adriatico e il Mar Ionio si incontrino. Perla dell’estremo lembo d’Italia, si adagia in un tratto di costa alternato da scogliere e piccole calette di sabbia, con grotte di grande interesse storico e naturalistico e i fondali marini che sono un vero e proprio paradiso per il turismo subacqueo.

Un entroterra prodigo di storia e cultura, di paesaggi splendidi da ammirare, di sontuose e colorate ville ottocentesche che declinano verso il lungomare. Leuca sorge sopra un promontorio su cui si ergono la basilica e il faro, e da cui si può ammirare dall’alto la meravigliosa costa e godere dello spettacolo del mare. Qui al confine della terra, si guarda verso l’orizzonte, si sta in silenzio e si ammira l’infinito.

Tutta la costa adriatica del Salento è un susseguirsi di splendide località balneari che si concentrano in meno di 100 km. Un tour in auto è la soluzione migliore per avere piena autonomia negli spostamenti e non perdere quei luoghi altrimenti non raggiungibili con i mezzi pubblici.

È proprio nel basso Salento, esattamente a Presicce che troviamo il maggior numero di frantoi ipogei scavati nella pietra, detti trappeti. Qui, vi era un’intensa produzione di olio d’oliva, principale fonte economica si dai tempi antichi. Il frantoio o “trappeto” deriva dal nome che gli antichi romani davano alla macchina per la molitura delle olive per la separazione del nocciolo dalla polpa.

frantoio-ipogeo nel Salento
frantoio-ipogeo nel Salento

Quando nascono e come funzionavano

  • La loro nascita è databile ai secoli XI-XIII; i primi furono costruiti sulla serra di Pozzomauro. La tipologia dei trappeti di quella zona è semplice essendo scavati nella roccia tufacea e pavimento in terra battuta.
  • A partire poi dall’800 i frantoi ipogei furono man mano dismessi, soprattutto a causa dell’evoluzione industriale e sostituiti da frantoi semi ipogei o in elevato.
  • A partire dagli anni ’90 alcuni di essi, sono diventati meta turistica attraverso alcune bonifiche e ristrutturazioni; enti pubblici e organismi di tutela si sono adoperati per il recupero di questi veri e propri reperti.

Chiamati anche “miniere d’oro verde”, producevano pregiato olio d’oliva sin dai tempi più antichi, a partire dai frutti esclusivi dei secolari ulivi. Motivo per cui le produzioni avvenivano nella roccia è dato dal fatto che l’economia ed il commercio dell’olio, prese il posto di quella del grano; inoltre, l’ambiente sotterraneo assicurava una migliore conservazione dell’olio e lo teneva al riparo da sguardi nemici.

La squadra di operai che lavorava al processo di questo bene pregiato era chiamata “ciurma“ o anche “trappitari”, che operavano sotto la guida del supervisore detto “nachiro”. La ciurma o trappitari, lavorava per tutto il periodo tra novembre e maggio, vivendo all’interno del frantoio, senza mai allontanarsi, se non per le feste più importanti.

Un ruolo fondamentale era dato anche dagli animali; questi ultimi, erano sistemati nelle stalle. In un’altra stanza, erano collocate le “sciave” (deposito delle olive), prima che fossero schiacciate dalla ruota (fatta girare da un mulo bendato) e poi pressate.

Come erano strutturati i frantoi ipogei?

Ogni frantoio è costituito da ambienti organici e funzionali con notevole interesse estetico e architettonico: ambienti di deposito, di soggiorno, di lavoro, di cucina, dormitori e la stalla. Lo schema costruttivo era sempre lo stesso; attraverso una scala scavata nella roccia e ricoperta con una volta a botte si accedeva ad una grande stanza principale, dove si svolgevano le operazioni di macinatura e spremitura.

Frantoio Ipogeo a Specchia
Frantoio Ipogeo a Specchia ©www.repubblica.it

La pietra molare era appoggiata su una piattaforma circolare di calcare duro; intorno a questa parte centrale si dislocavano una serie di piccole stanze comprendenti le stanze destinate al riposo degli operai, il deposito degli attrezzi, la stalla per gli animali e i locali la conservazione dell’olio.

Questi ambienti erano privi di luce diretta, tranne per uno o due fori al centro della volta principale. In questi ambienti il lavoro per la molitura era molto lungo; andava da novembre fino a dopo Pasqua.

Ma perché i frantoi si trovavano sottoterra?

Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nel sasso a quello costruito a pianterreno era la necessità del calore. L’olio diventa solido verso i 6°C. Affinché, quindi, la sua estrazione sia semplificata, è opportuno che l’ambiente in cui avviene la spremitura sia tiepido e costante. Ciò poteva essere assicurato solo in un ambiente sotterraneo riscaldato da lumi accesi giorno e notte, dalla fermentazione delle olive e soprattutto dal calore prodotto dalla fatica di uomini e animali.

Oltre a questo non sono da sottovalutare i motivi economici; il costo della manodopera per ottenere un ambiente scavato, era relativamente modesto perché non richiedeva l’opera edilizia di personale specializzato, ma solo forza di braccia, non implicando spese di acquisto e di trasporto del materiale da costruzione.

Il ruolo dei frantoi ipogei nel Salento oggi

La presenza dei trappeti nei vari centri del Salento è storica.

  • A Gallipoli, ospitato nel sottosuolo del Palazzo Granafei nel centro storico, è visitabile il frantoio del 1600.
  • A Noha vicino Galatina, davanti il portone del Castello si trova il frantoio del Casale; un ambiente di 300mq che ospita un sedile scavato nella roccia con una volta ricoperta di stalattiti.
  • Ma è Presicce ha detenere il primato grazie all’alto numero di frantoi ipogei nati fra ‘700 e ‘800. Oltre 30 frantoi ipogei, nascosti sotto la piazza principale producevano olio esportato in tutti i mercati d’Europa.

I frantoi ipogei nel Salento sono testimonianze di una millenaria civiltà oltre a rappresentare una parte importante della cultura economica e sociale del territorio.

Il Salento è bello non solo d’estate; ogni periodo dell’anno ci racconta qualcosa di questa terra ricca di eventi e tradizioni antichissime, tutte da scoprire. Se sei in vacanza nel Salento a gennaio e ti piacciono le feste tradizionali, non perdere l’occasione di partecipare ad una delle feste più caratteristiche al mondo: la “Focara”. La Focara di Novoli è l’appuntamento annuale più atteso dell’inverno salentino, intriso di folklore, religiosità popolare con una straordinaria cornice di musica, arte, spettacolo e enogastronomia.

Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it
Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it

Le origini della festa

L’evento ha origini antichissime, come testimonia anche il Museo del Fuoco di Novoli, inaugurato nel 2015, che racconta l’importanza che rivestiva il fuoco per la comunità contadina. In questa data, infatti, in molti centri salentini, si festeggia in un modo particolare il fondatore del monachesimo orientale, protettore degli animali e guaritore dell’herpes zoster, comunemente detto “fuoco di Sant’ Antonio”. In onore al santo ogni rione innalza il suo falò fatto di tralci di vite appena potati che nel Salento prendono il nome di “franzuie” o anche “sarmente”. All’imbrunire della festa, ben presto diviene luogo di abbondanti grigliate rionali.

Preparazione della Focara di Novoli

La Focara di Novoli è il falò più spettacolare dell’intero Mediterraneo con una base di 20 metri di diametro e un’altezza di 25, formato, pare, da almeno 80.000 fascine di tralci di vite raccolte dopo la pota delle vigne. La magia del fuoco attrae tutti, circa 200.000 sono le presenze in attesa del grande evento, numeri che danno la dimensione di quanto sia importante la manifestazione che si stringe attorno a una ritualità che affonda le radici nella cultura popolare contadina, supportata da una religiosità particolarmente sentita.

Il festival, organizzato dalla Regione Puglia e dai comuni di Lecce e Novoli, con la collaborazione di privati, è bene della cultura immateriale della Puglia. Essa partecipa alla catalogazione Ministeriale per il riconoscimento dall’UNESCO come bene del patrimonio intangibile dell’umanità.

La Focara di Novoli viene preparata a partire dai primi di dicembre, mediante il trasporto dei tralci di vite, le celebrazioni culminano il 16 e il 17 gennaio con l’accensione della Focara, ma la festa inizia ufficialmente all’alba del 7 gennaio, quando i contadini prendono ad accatastare le fascine di vite, e finisce il 18 gennaio con la “festa te li paesani”.

Cosa succede durante l’evento?

Durante la mattina della Vigilia della festa, sulla cima della pira, viene issata l’immagine del Santo con il rito della “bardatura”. Il parroco, in presenza delle autorità civili e militari, benedice la Focara, dando inizio ai festeggiamenti.

Il momento clou dello spettacolo è l’accensione della Focara (16 gennaio), tramite uno spettacolo pirotecnico, con una stupenda serie di fuochi d’artificio. Una lunghissima miccia viene portata dall’ingresso della chiesa alla cima della Focara, finché l’ultima serie di fuochi accende la catasta di legna nel tripudio generale.

Focara di Novoli
Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it

Ogni anno i costruttori della Focara di Novoli si impegnano a variarne la forma, lasciando a volte un varco centrale, chiamato “la galleria”, che durante la processione è attraversata dal corteo che accompagna la statua del santo.

Musica, performance artistiche, mostre di pittura e fotografia, appuntamenti e mostre enogastronomiche, presentazioni di libri, incontri e dibattiti animano l’evento e lo ammantano di un elevato spessore culturale, capace di reinterpretare in modi sempre innovativi e singolari il rituale, motivo di orgoglio per tutto il Salento.

All’insegna della musica intorno al fuoco, si è negli anni consolidato il Focara Festival che ha visto sfilare sul palco artisti di riconosciuta fama. Un esempio sono Vinicio Capossela, Eugenio Bennato, Caparezza e Enzo Avitabile.

La festa continua nei giorni successivi con altri riti importanti tra cui la benedizione degli animali, la messa solenne in onore del Santo, e la processione. La benedizione degli animali è un momento molto importante poiché, trattandosi di un popolo di origine contadina ed essendo Sant’Antonio di origini umili, veniva considerato come il protettore degli animali.

La messa

Grande affluenza e partecipazione si hanno durante la messa in onore del Santo Protettore durante la quale vengono distribuiti i “panini di S. Antonio”, che hanno, secondo la tradizione, il potere di portare guarigione fisica e spirituale.

Al termine della messa ha inizio la processione di Sant’Antonio con la statua del Santo, portata a spalla dai devoti seguiti dalla folla di fedeli.

La processione ha subito con il passare del tempo alcune modifiche. Infatti, anni addietro, moltissime persone, compivano l’intero tragitto della processione scalzi, probabilmente come segno di riconoscenza per una grazia ricevuta. Inoltre tenevano in mano dei grossi ceri, formando la cosiddetta ‘nturciata (intorciata). Durante la processione vi era l’usanza di accendere la cosiddetta strascina, cioè una lunghissima batteria di fuochi artificiali.

La processione attuale si conclude con il ritorno della statua del Santo nella pizza dove viene accolta da coreografiche bengalate, al termine delle quali la statua fa ritorno in chiesa e viene collocata su di un trono ornato con addobbi floreali.

Gastronomia tipica durante la Focara di Novoli

Intorno alla Fòcara, tra musica e danze, l’area live sarà tutta da gustare con i prodotti tipici locali.

Tradizione vuole che durante i festeggiamenti del 17 gennaio, giorno della festa del Patrono, siano banditi dalla tavola sia la carne sia i latticini. Si pasteggia a base di pesce, tanto che in occasione dell’evento il paese si dota di un eccezionale mercato del pesce. Caratteristica è la zuppa di baccalà con gli gnocchi e la scapece di pesce, una deliziosa marinata d’aceto condita con zafferano e pan grattato.

A completamento di pranzi e cene, le tavole si ornano dei caratteristici piatti salentini, come pittule, purciddhruzzi e cartiddhrate. Il tutto é accompagnato dalle eccellenze enologiche locali, il Moscato e il Negroamaro. Le persone che si radunano attorno al falò, si riscaldano al suono della pizzica o a gustare un panino cu li turcinieddrhi.

Quello della Focara di Novoli è davvero un appuntamento unico, incantevole e magico. Tutto ciò è reso possibile grazie all’unione di un elemento primordiale quale è il fuoco e la tradizione popolare salentina.

Se hai deciso di organizzare una vacanza nel Salento in inverno, il mio consiglio, perciò, è quello di non lasciartelo sfuggire!

Le liame salentine sono edifici rurali, con pianta quadrangolare o rettangolare con volta a botte. I muri perimetrali delle liàme sono costruiti con pietra a secco, mentre la copertura con volta a botte è realizzata attraverso dei blocchi di pietra tufacea. (“pièzzi de càrparu”).

Liame
Liame ©www.dimoranelsalento.it

Funzione delle liame salentine

Costruiti per fungere da magazzini di attrezzi o da ricoveri temporanei, oggi trasformati in seconde case, in deliziosi eremi per amanti della pace assoluta e della natura. Queste abitazioni suggestive, tipiche del Salento e della Puglia più in generale, disseminate nelle campagne, risalgono all’anno 1000, come le pajare (che hanno invece la pianta circolare). Nella cultura contadina che ormai il Salento si è lasciata alle spalle, esse erano l’ambiente ideale per essiccare la maggior parte dei frutti che questo lembo di terra donava: dai fichi alle fave, dalle mandorle ai noci, ecc.

Infatti queste costruzioni permettevano una terrazza più spaziosa di quella del trullo, per diversi usi, come essiccare “le fiche”, per cui il termine liama deriva dalla loro ampia terrazza (in effetti nel dialetto salentino “liama” = terrazza).

I tetti di queste dimore, testimonianze di tempi remoti, spesso erano piatti e intonacati con una malta particolare di colore bianco così come le pareti. Si tratta di abitazioni semplici e povere realizzate con materiale facilmente reperibile sul posto e nascono con lo scopo di ospitare per brevi periodi i contadini impegnati nei lavori dei campi.

Tecniche di costruzione

Il loro carattere originale si esprime attraverso la tecnica e il materiale utilizzati per costruirle. Le pietre reperite in aperta campagna venivano sistemate a incastro senza l’ausilio della malta. La copertura, come detto era quella della volta a botte, generata con blocchi di tufo.

Risultato finale?

Un ambiente unico privo di finestre, all’esterno una piccola scala per consentire di raggiungere il tetto. Le case con le volte a stella o a spigolo sono decisamente più calde d’inverno e più fresche d’estate. Il merito è della pietra e della particolare conformazione del soffitto che diffonde il calore in modo più uniforme, non disperdendolo.

Sono costruzioni molto frequenti nel territorio, sia nelle campagne sia nelle marine di Peluse e Torre Pali.

Viaggiando per il Salento è ancora possibile trovare le tracce lasciate dagli antichi popoli che hanno reso questo angolo d’Italia un luogo incantevole e indimenticabile. E non si può, passeggiando, non soffermarsi a notare le interminabili costruzioni perfette e allineate. Uno stile architettonico unico, una tecnica costruttiva secolare, giunta fino ad oggi grazie al lavoro degli antichi maestri custodi della tradizione.

Il Salento è una penisola ricca di numerose e suggestive grotte sparse qua e la, visitabili principalmente via mare. Tutte meritano di essere visitate per i colori o per la particolare conformazione delle rocce, creando un bellissimo viaggio all’interno di esse, ricco di storia e natura. Anche per chi fosse appassionato di gite, escursioni e immersioni, qui, possono godere di bellissimi scorci di roccia ricchi di nicchie e falesie.

Grotta della Poesia
Grotta della Poesia ©totajla via Canva

Dove si trovano le più belle grotte del Salento?

  • A partire da Porto Badisco a pochi chilometri da Otranto, troviamo La Grotta dei Cervi, cavità naturale e antico luogo di culto. In realtà si parla di una serie di grotte collegate, ricche di pittogrammi del Neolitico raffiguranti cacciatori e prede.
  • Giuntiamo a Santa Cesarea Terme, località famosa per le acque sulfuree delle grotte che mischiandosi con quelle del mare hanno dato vita a grotte con importanti proprietà terapeutiche.
  • Lasciata Santa Cesarea si giunge a Castro, dove troviamo rocce a picco sul mare in cui poter fare il bagno proprio nei pressi della grotta più conosciuta del Salento. La Grotta della Zinzulusa, chiamata così per la presenza di formazioni carsiche e stalattiti (“zinzuli“, in dialetto) che creano un ambiente particolare. Una grande apertura si apre nel bel mezzo della roccia, pronta ad accogliere i numerosi visitatori; si estende nel sottosuolo per 160 mt e accoglie anche numerosi reperti preistorici.
  • Poco più avanti troviamo Grotta Romanelli, ricca di reperti preistorici, conserva tracce risalenti all’uomo di Neanderthal insieme a molti graffiti.
  • Scendendo più a Sud nella zona di Leuca, troviamo Grotta Porcinara, alta 15mt e profonda 30, in cui si può accedere via terra. Questa cavità scavata per metà dall’uomo è anche un luogo di culto. Ricca di iscrizioni latine e greche, vi sono stati trovati reperti dell’Età del Bronzo.
  • Poco distante la Grotta del Diavolo per i rumori dovuti al rifrangersi del moto ondoso al suo interno.
  • Grotta Tre Porte fu chiamata cosi per le 3 grandi aperture sul mare. In questa si trova l’Antro del Bambino, un cunicolo, in cui fu trovato un frammento osseo risalente all’uomo di Neanderthal, appartenente appunto ad un bambino.
  • A pochi metri da quest’ ultima si apre la Grotta dei Giganti. Questa grotta ha riportato alla luce una sepoltura del X secolo e frammenti della cultura musteriana.
  • Troviamo poi disseminate qua e là, tantissime altre grotte come la Grotta del Presepe, la Grotta del Drago, la Grotta Cipollina, ed infine la Grotta degli Innamorati, la Grotta della Stalla e la Grotta del Fiume.
  • Dall’altra parte, affacciata sul mare Adriatico, in località Roca Vecchia, un importante testimonianza storica è data dalla Grotta della Poesia. Si narra che qui facesse il bagno una bellissima principessa la quale era d’ispirazione a tantissimi poeti che le hanno dedicato versi e poesie. Le pareti della grotta sono rimaste intatte negli anni, come anche le iscrizioni storiche al suo interno che insieme al limpidissimo mare che la circonda rendono questo posto unico.
  • Altra grotta nei pressi di San Foca, è la Grotta degli Amanti chiamata cosi perché un tempo vi trovarono rifugio due innamorati.

Oltre al mare cristallino, al paesaggio intatto, agli scorci caratteristici dei paesi costieri e alla deliziosa cucina, il Salento vanta una produzione artigianale che racchiude il sapere dei “maestri” di una volta, di coloro che facevano della propria arte una ragione di vita. L’artigianato è un fenomeno globale, materia di studio, fatto economico, culturale e sociale; è capace di ripercorrere i gesti dell’arte popolare, ma è anche in grado di riproporre opere appartenenti a periodi storici di alto valore artistico. L’artigianato salentino ha saputo mantenere vive le proprie tradizioni nonostante l’avvento della modernità, riuscendo a conservare i suoi tratti fondamentali e mescolarsi all’innovazione.

Nel Sud contemporaneo c’è la voglia di riscoprire il mondo antico, i mestieri dei nostri avi e le vecchie produzioni fatte e vendute in una piccola bottega nella piazza del paese, frutto della fervida immaginazione e delle mani d’oro di qualche maestro che, assistito dal suo “discepolo”, crea una forma d’arte fuori dagli stereotipi, regalando prodotti di alta qualità, di inestimabile bellezza e valore, specchio dell’arte popolare.

artigianato salentino
Lavorazione cartapesta a Lecce

Cartapesta: simbolo dell’artigianato salentino

Simbolo dell’artigianato salentino, in particolare a Lecce, è la cartapesta, nata come impegno religioso in un ambiente in bilico tra sacro e profano. Le prime tracce di tale attività risalgono al Seicento, ma si dovrà aspettare l’Ottocento per vedere la piena fioritura di quest’arte nata nei retrobottega di qualche barbiere leccese, di quella gente più modesta, che si ingegnava a modellare paglia e stracci rivestendoli di carta, realizzando così le famose statue e figure sacre che ritroviamo in tante chiese del Salento. Nonostante tutto, i “poveri maestri” avevano trovato tantissimi committenti, in particolare tra:

  • il clero, che durante l’eresia luterana aveva bisogno di riavvicinare i fedeli attraverso la proposta di Madonne, Santi e Cristi capaci di lambire le anime dei devoti
  • la nobiltà, che attraverso queste commissioni aveva assicurato il proprio posto in Paradiso.

I secoli sono passati, ma le tecniche sono rimaste immutate. I lavori conservano ancora le forme classiche delle statuette sacre ma ancor più frequente è la rappresentazione di figure presepiali di varia dimensione come, ad esempio, quelle esposte in occasione della famosa fiera di Santa Lucia, a Lecce. La città barocca rappresenta il centro salentino con la più alta percentuale di maestri carta pestai.

Terracotta

Altra produzione tipica dell’artigianato salentino è la lavorazione della terracotta, tipica di quei paesi situati nelle zone dove si estrae l’argilla. I popoli che contribuirono alla diffusione di questa tradizione furono i Dauni e i Messapi. La lavorazione della terracotta era diffusa un po’ in tutto il Salento: piatti, scodelle, pignate, vasi si producevano da Nardò a Gallipoli, da Cutrofiano (nel 1985, è stato inaugurato il “Museo comunale della Ceramica”) fino a Lucugnano di Tricase nel Basso Salento, questi ultimi tuttora importanti centri di produzione. Famosa era San Pietro in Lama per la produzione de l'”imbreci” (tegole).

La lavorazione non si limita alla produzione di oggetti per la casa, ma anche di giochini ironici come fischietti, campanelle o gli stessi pupi che continuano ad animare i nostri presepi. Il processo seguiva un impasto di acqua e creta che veniva lavorato al tornio, poi esposto al sole ed infine infornato a circa 900° C: ne vengono fuori manufatti giallognoli o rosso mattone, a causa della presenza dell’ossido di ferro.

Una volta “sfornati”, i capolavori dei “cutimari” (sono detti così gli artisti della terracotta) prendono varie forme tra cui i prodotti citati prima.

Pietra Leccese

Barocco leccese
Pietra leccese ©ilbusca via Canva

In questa lista non può mancare la pietra leccese, una roccia calcarea giallognola che conserva al suo interno fossili marini e terrestri. E’ rinomata per la sua plasmabilità dettata dalla presenza di argilla, motivo per cui si presenta facilmente modellabile, morbida al taglio dello scalpello.

Proprio questo materiale apprezzata in campo artistico, ha raggiunto stima internazionale grazie all’artigianato locale che è alla base del Barocco leccese. Questa pietra pregiata, infatti, cosparge le facciate dei principali monumenti del capoluogo: il palazzo dei Celestini e l’adiacente Chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara e il Duomo ne sono alcuni esempi.

La forte presenza sul territorio di cave dalle quali si estrae la materia prima, chiarisce la scelta di utilizzare tale pietra. A tal proposito, A Cursi, uno dei principali comuni in cui si estrae la pietra leccese, dal 2000 è stato inaugurato l’Ecomuseo. Per chi volesse cimentarsi in quest’arte o anche solamente vedere con i propri occhi cosa c’è a monte di tanto splendore, l’Associazione Agrintour organizza itinerari turistico-didattici: da settembre a novembre e da marzo a maggio, l’appuntamento è con i laboratori incentrati proprio sull’artigianato salentino ed in particolare sulla lavorazione della pietra leccese al fine di presentare i territori e avvicinare i giovani ad un mondo spesso dimenticato che potrebbe regalare interessanti soddisfazioni nell’avvio di attività future.

Altre produzioni tipiche dell’artigianato salentino

  • Tra gli antichi mestieri, nel Salento, ritroviamo la produzione di tessuti e ricami, nonché di merletti e pizzi di ottima fattura. Questa, più che un mestiere, è un’arte tramandata da madre a figlia poiché anticamente queste creazioni erano concepite per il solo uso casalingo, in quanto destinate alla preparazione del corredo delle “figlie da maritare”.
  • Nella zona del Capo di Leuca e precisamente ad Acquarica, zone palustri e canneti forniscono la materia prima per la lavorazione del giunco o dei vimini che, pochi vecchi artigiani, intrecciano ancora per produrre panieri, cesti e sporte (borse).
  • Anticamente, il rame veniva lavorato per realizzare quatare e quatarotti (pentole e calderoni in rame che si usavano in cucina), bracieri e scarfalietti (antichi contenitori con un lungo manico nel quale si metteva la brace che permetteva di scaldare i letti d’inverno) che non potevano mancare in ogni casa. Oggi, sicuramente sostituiti dalle moderne pentole in acciaio e da più evoluti metodi di riscaldamento, li ritroviamo riprodotti al solo scopo decorativo in qualche bottega del Capo di Leuca.
  • L’arte del ferro battuto invece è conosciuta a livello nazionale fin dai secoli XVI e XVII per tutti i decori dei portali dei palazzi e delle chiese del Salento. Ancora oggi gli strumenti di lavoro sono gli stessi: l’incudine, la forgia che rende il ferro morbido e malleabile, martelli di diverse forme che infliggono al ferro particolari scalfiture riuscendo a modellarlo nelle linee più varie. Nascono così attraverso l’assemblaggio di più pezzi, testate di letti, lampade, alari, ringhiere, poi dipinte in nero ferrigno, che pochi oggi eseguono ancora attraverso la chiodatura (sostituita dalla più semplice e sbrigativa saldatura).

In moltissimi avranno notato, soprattutto nelle campagne pugliesi o presso gli aeroporti dismessi, delle griglie metalliche traforate e si saranno chiesti che cosa siano o da dove siano arrivate. Non sono altro che dei reperti risalenti al periodo della Seconda Guerra Mondiale, oggi riutilizzati per realizzare cancellate e recinzioni di proprietà private, contadine il più delle volte: il loro nome è Grelle.

Storia e usi delle Grelle

Ancora oggi è possibile vedere delle Grelle utilizzate come inferriate, recinzioni e cancellate, soprattutto presso Masserie o vecchie abitazioni. Se ne possono rinvenire traccia anche presso piste di atterraggio di aeroporti militari in disuso (come a San Pancrazio Salentino, Leverano, Galatina o Manduria). Qualche volta vengono ancora utilizzate per allestire delle piste di volo di emergenza oppure trascinate con il trattore dai coltivatori per spianare terreni appena arati.

Infatti, questo è il motivo per cui sono arrivate in Puglia durante la Seconda Guerra Mondiale. Dagli aviatori venivano infatti utilizzate per allestire in poco tempo delle piste di atterraggio o rullaggio per i velivoli. In una sola settimana, all’epoca, si riusciva ad allestire una pista di mille metri.

Marston mats” era l’altro nome con cui le Grelle erano conosciute in America, in onore della città del North Carolina, vicina all’aeroporto di Camp Mackall. E’ proprio qui che le grate vennero prodotte e sperimentate nel 1941. Essendo realizzate in un metallo molto resistente e per via dei fori, permettevano di attecchire perfettamente al terreno, anche se la pista era bagnata. Questo ne permise l’utilizzo anche per attraversare zone impervie sul quale i mezzi bellici sarebbero affondati oppure per allestire piccoli ponti temporanei.

Subito dopo la guerra, però, gli americani abbandonarono questo materiale “ingombrante” e ciò rappresentò una vera fortuna per i contadini pugliesi che, uscita dal conflitto mondiale, doveva in qualche modo ripartire. Molte di queste Grelle furono vendute alle fonderie mentre altre, lavorate dai fabbri, vennero trasformate in inferriate, recinzioni e cancellate. Da quel momento resistono ancora in molte campagne pugliesi.

Quando da adesso in poi vi capiterà di vedere queste curiose griglie metalliche perforate, saprete che non sono altro che le Grelle, le “Pierced Steel Planking(PSP), elaborate dall’ingegno americano e dagli Stati Uniti giunte fino in Puglia.