B&B Salento Sun Sea

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Il B&B Salento Sun Sea, si trova nel cuore di un piccolo e caratteristico borgo del Salento, precisamente a San Pancrazio Salentino, punto strategico in quanto distante pochi chilometri da Porto Cesareo, Porto Selvaggio, Riva degli Angeli, Punta Prosciutto sullo Ionio, nonché Brindisi con il Parco Marino di Torre Guaceto sull’Adriatico, da Lecce, città del barocco, Taranto, capitale della Magna Grecia e custode degli ori più famosi del mondo. Tutte mete raggiungibili in una trentina di minuti!

Bed breakfast Salento Sun Sea
Bed breakfast Salento Sun Sea

L’atmosfera del B&B Salento Sun Sea

Qualche giorno fa, sono stata invitata da Denise, mia carissima amica, nonché titolare della gestione del b&b, a conoscere il posto.

La sua posizione, nelle vicinanze del centro storico del paese, ti permette di raggiungerlo anche a piedi, oppure parcheggiando l’automobile nel parcheggio riservato agli ospiti.

Non appena ho aperto la massiccia porta di legno dell’ingresso principale e varcata la soglia, sono stata come immediatamente catapultata in un altro luogo.

La casa, oramai ristrutturata, ci riporta a rivivere quell’atmosfera di un tempo, quando le numerose famiglie vivevano insieme. Un luogo di aggregazione, di ritrovo e di serenità.

Qui, persino le pietre che rivestono le colonne portanti e gli archi, sembrano emanare un’atmosfera di romanticismo ed eleganza. I soffitti alti con le volte a stella e l’imponente scala sulla sinistra sono esempi di una bellezza senza tempo che non passa di moda.

L’ingresso del bed and breakfast sembra preannunciare le sorprese che attendono gli ospiti al piano di sopra, con una lunga scala. Non appena ho cominciato a salire, mi sono immersa nella gradevole atmosfera e nel pacato silenzio del posto.

All’ ingresso, mi ha accolto il caldo sorriso di Denise, proprio come accade ai suoi ospiti non appena ne varcano la soglia. É una persona molto energica e si può dire che ama molto quello che fa. Il suo entusiasmo mi ha letteralmente contagiata, mostrandomi con orgoglio l’impegno e la passione che ci mette nel suo lavoro.

I servizi dei B&B Salento Sun Sea

Sono stata ospitata nella prima stanza, fulcro della casa, il quale ad accogliere i clienti è un gran bel camino che d’inverno viene acceso per un’atmosfera più calorosa. É qui che la colazione, momento importante, viene servita da Denise che si impegna a prepararla ogni mattina, a partire dai dolci fatti in casa, come torte, ciambelle, crostate e biscotti, che ho potuto assaggiare durante la nostra conversazione, o una colazione salata a base di salumi, formaggi, taralli, ecc. Inoltre su richiesta, può essere servita una colazione vegan o per intolleranti, il tutto nel pieno rispetto della genuinità e di benessere nei confronti dei suoi ospiti.

colazione Salento Sun Sea
Colazione Salento Sun Sea

Nelle soleggiate giornate estive, sul terrazzino di fronte alle camere, viene montato un grande gazebo e sistemato, per accogliere gli ospiti nel momento della colazione o trasformato in una zona eventi.

Nella stessa stanza adibita per le colazioni, vengono organizzati anche video conferenze, presentazioni di progetti e corsi di videosorveglianza e allarmi e di fotografia.

E se avete necessità di dilungare il vostro soggiorno e non sapete come muovervi per pranzo o per cena, non preoccupatevi! Su richiesta, sarà Denise a consigliarvi un ristorante, convenzionato dalla struttura.

Le camere della struttura

Offertomi il caffè, Denise mi parlava inoltre, delle varie ceramiche di Grottaglie che popolano le varie stanze, tra cui i maestosi applique nell’atrio della struttura che illuminano, creando un particolare gioco di luci e di alcuni quadri che attraverso i colori caldi e terapeutici, trasmettono un senso di serenità e di bellezza che solo il nostro Salento sa offrire!

Camera Salento Sun Sea
Camera Salento Sun Sea

Le 6 camere sono ben distribuite sui due piani, 2 al pian terreno di cui una matrimoniale con bagno interno e una camera con letto singolo, mentre 4 al primo piano: una camera singola con balcone e con bagno privato esterno e 3 camere matrimoniali con bagno privato, di cui una è suite matrimoniale con una comoda area salotto con annessa terrazzina che si affaccia sulla cittadina.

Nelle camere prevalgono colori tenui e delicati che evidenziano l’arredamento moderno in perfetta armonia con l’esterno antico e ben ristrutturato.

Tutte le camere sono dotate di tutti i comfort: aria condizionata, TV a schermo piatto con canali satellitari, set di cortesia, asciugacapelli, bollitore elettrico.

Inoltre, come ospiti del Salento Sun Sea, potrete usufruire della connessione wi-fi gratuita in tutte le aree.

L’atmosfera e l’ospitalità del B&B vi offriranno un soggiorno rilassante ed accogliente in un piccolo paesino a pochi passi dal mare!

Quello che vorrei raccontarvi sembrerebbe una fiaba che comincia con un: “C’era una volta.” Ma, in realtà, questo luogo fantastico esiste per davvero e il protagonista è un artista che vive a Guagnano, a 20km da Lecce. Si scorge in lontananza, nascosto tra vigneti e alberi di ulivo, un luogo “sacro” e di pace, dove l’arte prende vita: la casa di Vincent Maria Brunetti, meglio nota come VINCENT CITY. L’eremo è una via di mezzo tra le architetture di Gaudì e la casa di Hansel e Gretel: un luogo fuori dal tempo, dove l’arte diventa balsamo per l’anima. Qui la bellezza è ricca di colori, sfumature, dove ogni linea dà volto ai sentimenti dell’artista, ricamando le sue idee, i suoi pensieri, incastonati come coloratissime gemme lungo le pareti di ingresso. Un luogo voluto per raccontare il mondo interiore del suo fantasioso creatore: mosaici, icone, sculture e quadri decorano l’edificio.

Eremo di Vincent
Eremo di Vincent ©www.viaggifuorirotta.it

Vita di Vincent Maria Brunetti

Vincent Maria Brunetti
Vincent Maria Brunetti

Vincent Maria Brunetti, uno dei personaggi più emblematici del panorama artistico meridionale, denominato anche la “libellula del sud” è uno dei pochi pittori, che ha fatto della sua vita una protesta, che è riuscito a svincolarsi dal “sistema” e dalla morsa dei galleristi, critici ed associazioni artistico culturali, costruendo il suo piccolo regno.

Artista, pittore, scultore nato a Guagnano (LE) il 3 Dicembre 1950, fu colpito in giovane età dalla poliomielite riesce a recuperare le forze tramite la cura di Mariano Orrico, ideatore di “Lamina Bior”, secondo il quale ogni genere di malattia può essere sconfitta con il principio dell’elettricità statica. Proprio grazie a questo metodo Brunetti ha potuto recuperare la sua gioia di vivere, che oggi riesce ad esprimere tramite la sua danza propiziatoria. Brunetti è stato artista bohémien a Milano, dove nel 1970 gli è stato conferito l’Ambrogio d’oro. La sua arte è stata apprezzata e incoraggiata da Giacomo Manzù e Arnaldo Pomodoro che lo ha accolto come apprendista nella sua bottega. Si è poi raccolto in ritiro spirituale durante il quale ha avuto un’ispirazione e, tornato nel Salento, nel 1993 ha costruito Vincent City.

La costruzione della struttura ha causato non poche difficoltà dal punto di vista burocratico e l’artista è stato arrestato per abusivismo edilizio. La condanna non lo ha però fermato e la sua “casa” risulta attualmente un cantiere in continua evoluzione. Qui l’artista accoglie mensilmente centinaia di appassionati e curiosi che, oltre a visitare la casa-museo, acquistano le sue opere e godono spesso dello spettacolo che l’estro e la sana follia del maestro regalano. Il suo sorriso coinvolge e cattura. Sembra che sprigioni un’intensa energia, l’energia di cui Vincent si dice posseduto dopo la poliomielite. Molti lo definiscono un artista eccentrico ed esuberante, alcuni lo considerano un abile imprenditore, altri non approvano la sua condizione abusiva, ma di certo Brunetti risulta un personaggio sopra le righe attorno alla cui figura aleggia un alone di fascino che è la chiave del suo successo.

Vincent Maria Brunetti
Vincent Maria Brunetti

Intervista

Visitare la casa museo e conoscere Vincent, un personaggio folle e straordinario, è stata un’esperienza unica. Un incontro con Vincent Maria Brunetti non è solo un incontro con un artistico eclettico e stravagante ma è l’incontro con un’anima. Dopo aver vissuto e lavorato per più di 20 anni a Milano, ha deciso di abbandonare la vita corrotta e mercificata della metropoli, per fare ritorno nel suo luminoso Salento, dove oggi conduce una vita eremitica. “Ho sentito il bisogno di isolarmi per capirmi meglio, per conoscere e per dare, così, il meglio di me agli altri…sotto forma di arte”. Completamente disinteressato al mondo esterno, l’unico obiettivo di Vincent è quello che la gente che frequenta la sua casa, goda della bellezza. Ogni giorno è un giorno aperto alla felicità, un’avventura giornaliera per un viaggio che, come lui stesso mi ha confidato, si concluderà nel 2090 (quando se ne andrà volando!).

1. Chi é Vincent Maria Brunetti? Come è nato questo nome?

“Il nome Vincent è nato (mi è stato attribuito) da un gallerista di Milano, Roberto Margara, che lo conoscevo da quando avevo 23-24 anni, poi ho avuto una crisi esistenziale a seguito ad un incidente stradale e da lì, mi allontanai da Milano per molto tempo. Passato questo brutto periodo, ritornai e reincontrai questo gallerista, il quale mi promise che avremmo fatto una mostra di quadri. Lui mi disse che per la mostra sarebbe servito un altro nome: Vincent (molto probabilmente in memoria del grande Vincent Van Gogh). La mostra non si fece più, ma quel nome mi rimase nel cuore. Da allora tutte le persone che abitavano vicino casa mia, i familiari hanno iniziato a chiamarmi così! é nato tutto per gioco…e adesso non posso più tradire questa realtà!”

2. Come é nata l’esigenza di costruire l’eremo, la sua casa?

“Dopo che ho avuto la crisi esistenziale, ho fatto 10 anni di vita mistica, religiosa. Mi sono scontrato con delle realtà negative, anche con il sistema della chiesa. Sognavo una chiesa colorata, dove non ci fosse la sofferenza, avevo una visione gloriosa della fede; anziché vedere Gesù crocifisso, vedere Gesù risorto. Allora in questa resurrezione mi è venuta l’idea di creare per lui, una chiesa nuova piena di colori, che sia in contrasto con il vecchio. Io sono “figlio del nuovo” non posso stare sul già fatto di un altro. Su questo fazzoletto di terra ho visto un “nuovo mondo”, l’ho immaginato e da lì ho visto il paese con la chiesa che però l’ho consacrata all’ arte. L’idea me l’ha data papa Wojtyla, quando disse che un giorno il mondo sarà guidata dagli artisti; cioè un artista re, un re che sia vicino al suo popolo, che sia come la gente umile. L’umiltà, quindi la capacità di fare qualcosa per gli altri, uscire da me stesso per allargare l’animo mio verso l’umanità, quindi ho superato tutte le cose umane, la legge terrena. Ho superato anche la miseria, perché l’arte mi ha fatto principe! Sono consapevole di chi sono, sono consapevole dell’ampiezza della mia anima. Ho fatto tutto abusivamente, quando ancora si poteva fare, perché il Signore Dio mi ha predestinato in tutte le tappe della mia vita. E questa è l’espressione più bella della libertà, cioè l’artista re libero, non condizionato. Io ho fatto la casa solo per l’arte, una volta gli artisti lavoravano per i nobili, per i papi, per i re per poter creare. Io l’ho fatto da solo con le mie forze, per cui l’arte per l’arte fine a sé stessa! I quadri sono come dei figli per me, che vanno nel mondo per ampliare questo mio bisogno di bellezza, da far toccare anche agli altri. I quadri sono come delle sentinelle, delle bombe positive che entrano per immunizzare tutto il marcio che c’ è in giro.”

3. Cosa rappresenta l’arte per lei? Come é nata questa passione?

 “…avevo 8 anni, mio padre era in Francia a lavorare, era il 1958. Una sera mia madre (disegnava modelli perché era sarta) tracciò con una matita su un foglio il profilo di un volto umano. Quale meraviglia non fu per me quel disegno: fu una folgorazione. Era la prima volta che vedevo disegnare qualcuno e da lì giurai a me stesso che da grande avrei fatto l’artista. A 13 anni fui mandato in collegio e c’erano 4 materie: meccanica, legatoria, elettronico e fotografia. Scelsi fotografia, ma il mio professore Pompeo Melotti, artista anche lui, venne a sapere che ero appassionato di disegno. Da qui iniziai ad avere la passione per l’arte…è nato così, perché doveva succedere!”

Poi continua: “L’ arte rappresenta tutto! Io ho dato la vita per l’arte. Ho coltivato continuamente il culto della bellezza, ho avuto dei modelli sani, puliti, grazie anche ai miei educatori che erano cristiani. Ho spento la materialità per innalzare lo spirito. Quando ho scoperto la vita dello spirito, dell’anima, la mia vita è cambiata. E poi avevo un sogno, quello di essere felice! Tutti gli amici di Milano dicevano che non si può essere felici, che la felicità è un momento. io dicevo no! Se è vero che la felicità esiste, vuol dire che deve esistere, si tratta solo di trovarla! La chiave è nel Vangelo, quindi, nella resurrezione. Il sacrificio è un momento, come il parto che è momentaneamente un dolore, ma che dopo diventa felicità con la nascita di una nuova vita.”

 4. Cosa vuole esprimere o suscitare attraverso i suoi quadri?

Interesse per l’arte. Noi abbiamo un sistema in Italia dove l’arte non è contemplata, perché si pensa che con l’arte non si mangia, che gli artisti sono pazzi e che l’arte è solo per gli intellettuali. Per me dipingere significa creare, suscitare emozioni e così facendo coinvolgo la gente nell’atto creativo, infatti sembra come fosse inebriata, entra in catalessi. Il mio scopo è quello di farla rilassare, di farla innamorare della bellezza artistica attraverso la cromoterapia, che salvifica. Quindi lo scopo è terapeutico, è una medicina per l’anima.”

5. Quanto ha influito il Salento, terra ricca di storia, arte e cultura, nella sua creatività?

È stata proprio la lontananza dalla terra natale che ha incentivato Vincent ad “infiammare” la sua tavolozza, carica dei colori della sua amata terra. “Altroché! Quando ero a Milano, sì… i quadri erano colorati perché mi portavo dentro il Salento, visto che Milano era molto grigia. É profetico il fatto che Dio abbia scelto il Salento per far nascere la mia casa. Qui, sempre a stretto contatto con la natura nascerà il nuovo e cioè io, ed è qui che guiderò tutti verso la libertà!”

Eremo di Vincent Maria Brunetti
Eremo di Vincent Maria Brunetti

L’eremo di Vincent Maria Brunetti

Il suo intimo bisogno di isolamento nasce dalla volontà di esplorare sé stesso, capirsi, conoscersi e donare agli altri l’essenza più pura e vera di sé. Lui vive lontano dal caotico e spasmodico vivere frenetico e spersonalizzato e del resto la sua arte è un antidoto capace di alleviare tutto ciò. Ed è proprio qui, nel cuore del Salento, in quella pace che solo la natura sa regalare, che nasce l’eremo di Vincent, una città immaginaria, un posto indescrivibile, colorato, “strano”, dal gusto kitsch, direbbero i più, realizzato con materiali di recupero e col frutto della genialità estremamente folle di quest’artista che dal ’93 affascina salentini e non con le sue peripezie.

Eremo di Vincent
Eremo di Vincent

É un’isola felice dove l’artista riesce a trovare ispirazione per le sue opere, dando sfogo al suo eccentrico modo d’essere, specchio del suo mondo interiore: creatività, leggerezza e bellezza, sono i messaggi che si riflettono in queste opere. La sua casa è un luogo aperto a tutti coloro, che vogliono curiosare e ammirare le sue creazioni; è un punto di riferimento importante per quanti, ancora, amano il bello e tutto ciò che di pulito e onesto esce dal cuore e dalle mani dell’uomo, che permette un vero rilassamento psichico, una “catarsi collettiva” per numerosissimi amanti dell’arte, la quale viene definita “una divinità che ha bisogno dei suoi profeti.” 

L’eremo è un luogo incantato, tra il fiabesco e l’inquietante ma ha un fascino particolare. Tutto ciò che contiene sembrerebbe non avere alcun senso ma è estremamente bizzarro ed inusuale. Inoltre è ricco di opere d’arte presenti all’esterno e all’interno, quasi a fare da guardia, impedendo alla modernità di entrare a sconvolgere l’equilibrio tanto desiderato. Qualcuno potrebbe trovarle eccessive e ridondanti, ma indiscutibilmente attraenti ed originali!  Nella casa museo si può trovare “tutto accostato a tutto “: il sacro e il profano, come dimostrano le riproduzioni di opere di soggetto religioso, accostate a quelle di statue pagane. Vi è, infatti, un duplice aspetto della personalità di Vincent: una fede molto salda e una forte propensione alla libertà, all’indipendenza.

Si possono trovare infatti, trasposizioni della Statua della Libertà, le Madonne cristiane, le torri gemelle, la Venere che emerge dalle acque, fiori, animali, così come paesaggi, poesie, addirittura peluche, che posiziona accanto ai volti dei grandi della storia, così per dare un tocco più “giocoso”. Impossibile non accorgersi delle tante decorazioni sgargianti e frasi misteriose, spesso criptiche impresse sulle pareti. Ogni angolo della casa è ricco di significati, poesie e dettagli che si allontano da lineari rigidi schemi, riuscendo a sorprendere i visitatori. Una straordinaria varietà coloristica e stilistica di piastrelle, utilizzate per la pavimentazione o per la composizione di mosaici, che rappresentano un puzzle capace di trascinare in un magico incanto, insieme a dipinti raffiguranti personaggi orientali e nature morte. I mosaici che coprono ogni superficie dello spazio sono, in realtà, opera di Orodè Deoro.

L’artista ha vissuto nella “Vincent City” per ben tre anni, dedicandosi all’arte pittorica e alla sperimentazione con il mosaico di ceramica. Le opere permanenti di Deoro sono moltissime: Il Trionfo di Bacco, Posters, Donna Ulivo e onda mediterranea, Mondoperapocalistoria (opera incompiuta), la penultima cena e molte altre ancora. All’interno è organizzata la mostra permanente delle opere del Brunetti, insieme con la pinacoteca dei suoi quadri in vendita.

Eremo di Vincent
Eremo di Vincent ©www.bari-e.it

Peter Pan salentino accoglie gli spettatori, seduto su uno sgabello intento a dipingere, correndo di qua e di là, in un forte bisogno di libertà.

Quella libertà che è nascosta nel cuore di ogni uomo e al suo “volo” esprime, il desiderio di liberarsi dal peso della materia (atteggiamento che gli è valso l’appellativo di “Libellula del sud”) trasportato dalla musica dance udibile anche dalla strada.

Luminoso e solare lo studio di Vincent Maria Brunetti, con tutti gli strumenti del mestiere a portata di mano.

Giorno dopo giorno l’eremo di Vincent Maria Brunetti cresce su sé stesso, suscitando stupore e perplessità. ll comune di Guagnano, che voleva abbattere tutto con l’accusa di abusivismo edilizio, deve oggi ammettere che si tratta di una delle sue maggiori attrattive. Vincent non è solo l’artista noto e stravagante che ha creato il tutto dal nulla, ma è un singolare connubio di genio e (s)regolatezza! Vincent Brunetti non sarà stato, certo, capace di cambiare il mondo, ma ne ha creato uno nuovo, uno alternativo, dove tutto è riciclato o si ricicla, dove lui è il sovrano indiscusso e i suoi quadri e la sua arte sono i guardiani del regno.

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Il Salento è conosciuto nel mondo, non solo per la bellezza dei suoi luoghi e la ricchezza dei suoi monumenti ma anche per il fascino delle sue tradizioni popolari. Il folklore salentino mantiene vive le proprie tradizioni, non solo attraverso il ricordo delle manifestazioni che si svolgevano un tempo in questi luoghi, e continuano a sentirle vive e attuali. La pizzica salentina e le tarantate rappresentano uno spaccato di vita di ieri e di oggi, sono l’orgoglio della gente che vive in questi posti che riesce, in modo molto naturale e spontaneo, a conciliare un mondo globalizzato con la propria identità locale.

Il fenomeno della pizzica parte dalla riscoperta e dalla valorizzazione della musica popolare salentina, assumono una grande importanza sociale e culturale, riuscendo a far radunare nelle piazze migliaia di persone trascinate dal suono del tamburello ed ipnotizzate dal ritmo incalzante delle ballate. Le pizziche sono diventate un motivo per ritrovarsi tutti insieme, giovani, anziani e bambini, per le strade, nelle piazze o sulle spiagge, per riscoprire la bellezza delle piccole cose e dei semplici gesti, per vivere momenti di unione e per comunicare con gli altri in modo istintivo, dimenticandosi dei problemi quotidiani.

Essa assume la forma di una valvola di sfogo, che sotto forma di danze e canti, si libera dal proprio corpo tutte le frustrazioni accumulate durante la propria quotidianità.

Pizzica salentina
Pizzica salentina ©www.turistiinpuglia.it

Il significato della pizzica salentina

È una danza popolare e come tutte le “arti popolari” nasce e si sviluppa nel popolo e dalle sue sofferenze, trae la sua forza vitale e ne diventa parte integrante. Le sue radici affonderebbero probabilmente negli antichi riti dionisiaci dei nostri avi e, attraverso i secoli, nel medioevo confluirono nel tarantismo. Quello del tarantismo è un fenomeno storico religioso che da allora si diffonde nella penisola Salentina sino al 700 ed oltre.

Era nelle calde ed afose giornate di giugno, o comunque d’estate, che alcune donne (prevalentemente donne) venivano punte dalla tarantola durante le messi (la mietitura del grano) e la reazione che ne derivava era uno stato malessere, di agitazione, e di inquietudine, sintomi che si alleviavano solo attraverso il suono del tamburello o del violino. La voce si spargeva allora e si radunavano in casa della malcapitata, i suonatori che al ritmo incessante dei loro diversi strumenti cercavano di carpire quale ritmo risvegliasse lo spirito della taranta. L’attarantata allora poteva ballare o semplicemente agitarsi forsennatamente, anche per vari giorni, fino a quando una volta pacata si poteva dire guarita.

Nel 1700 a Galatina si diffuse il culto per San Paolo che secondo la credenza, guariva gli attarantati: ogni anno l’appuntamento era a Galatina nella cappella di San Paolo il 29 giugno. Qui le attarantate di tutto il Salento venivano per essere guarite bevendo l’acqua benedetta del pozzo adiacente la cappella, accompagnate dai musicanti-terapeuti. Ballavano la pizzica lasciandosi trasportare dal suono del tamburello e dei violini, mimando i movimenti della tarantola, libere da condizionamenti. Il tutto era rappresentato sino all’eccesso, lo stato di depressione ed agitazione, l’isteria, lo stato di torpore, le urla. Ma alla fine il Santo faceva il miracolo.

Il ruolo della pizzica come fenomeno popolare nel Salento

Il periodo delle tarantate era naturalmente quello estivo, ma via via che il fenomeno e la musica entravano nel folklore salentino, la pizzica cominciò ad essere suonata, cantata e ballata tutto l’anno in ogni occasione pubblica o festiva. Alle “tarantate” si sostituirono poi ragazze in costumi folkloristici, esperte di questo ballo seducente. Nata quindi dal rito pagano dell’esorcismo delle “tarantate”, la pizzica ha progressivamente acquisito autonomia come forma ritmica e musicale, e soprattutto come fenomeno popolare.

Delle pizziche originali oggi sono rimaste vive solo tre forme:

  • la pizzica taranta o pizzica-pizzica: si balla in coppia, non necessariamente formata da individui dello stesso sesso;
  • la pizzica de core: ballata da un uomo e una donna insieme;
  • la pizzica scherma: ballata solo dagli uomini.

L’ ultima curiosità riguardante la pizzica salentina è il fazzoletto: pare, infatti, che non appartenga alla tradizione della danza, ma che sia stato aggiunto in seguito, come ornamento. Le mani delle danzatrici si riempivano del rosso della sua stoffa per aggiungere colore alla coreografia di una danza già di per sé travolgente. A prescindere da quale possa essere la sua vera storia, il rosso di quel fazzoletto è di sicuro simbolo emblematico di un sentimento forte ed istintivo, come l’amore e la passione di cui si fa vessillo.

La pizzica salentina oggi: la Notte della Taranta a Melpignano

Difficile, in questi ultimi anni, individuare una festa o una sagra, specie nel periodo estivo, che non comprenda l’esibizione di gruppi di suonatori e ballerini di pizzica nelle sue varianti. Ancor più difficile elencare perciò le manifestazioni di rilievo che rinnovano il fascino di questo ritmo e di questa danza: a Melpignano, Acaya Torrepaduli, Galatina hanno luogo alcune delle rassegne più importanti, alle quali accorrono turisti e curiosi da tutta Italia per confrontarsi con gli esperti musicisti (tamburellisti, violinisti, chitarristi, suonatori di cupa cupa…) e ballerini del Salento.

Il 26 agosto a Melpignano il ragno pizzica il Salento con la “Notte della Taranta” che è il più grande festival d’Italia e una delle più significative manifestazioni della cultura popolare in Europa, oltre 100.000 spettatori ogni anno invadono la cittadina per una rassegna unica nel suo genere. 

La pizzica racconta la storia di un popolo, il modo di vivere semplice, i costumi, le credenze; si balla uniti da un rituale che trascende le generazioni, per sentirsi parte di una comunità, per integrarsi, per comunicare con la gestualità, per gioco o per amore, per toccarsi senza nemmeno sfiorarsi. La pizzica salentina è magia, è liberazione, è follia, è gioco di sguardi e di corpi che si inseguono, è danza cosmica e tripudio di suoni e di colori. Se vuoi capire un popolo ascolta la sua musica… cos’è la pizzica se non il battito del Salento?

Chi nasce nel Salento difficilmente lo dimentica… È una sorta di magico contagio, un qualcosa che resta nel sangue, anche se la vita con le sue esperienze, dovesse portarti a migliaia di chilometri di distanza. Di questa magica terra che è il Salento, ci sono molte testimonianze, in particolare nella musica di molti artisti nati proprio qui. Artisti del calibro di Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Negramaro, Sud Sound System e tanti altri divenuti famosi lontano dalla propria terra d’origine, che non perdono occasione per ribadire quanto siano ancora legati al Salento, descrivendo estasiati le delizie culinarie che hanno caratterizzato la loro infanzia e i luoghi meravigliosi che hanno fatto da cornice alla loro giovinezza.

Pizzica salentina
Pizzica salentina ©www.turistiinpuglia.it

Musica dell’anima: pizzica e taranta

  • Ci sono melodie che sono legate indissolubilmente ai territori dai quali provengono, un tipo di musica che negli ultimi anni si sta facendo conoscere da un numero sempre crescente di persone, affascinando tutti con il suo ritmo ipnotico, sottofondo ideale per un paesaggio fatto di distese di ulivi, sole, terra rossa fertile e mare a perdita d’occhio: la pizzica.
  • Il Salento è richiamo e attrazione anche per le sue sonorità, i suoi canti e i suoi balli; patria della cultura del “tarantismo”, ossia della cultura della “taranta”. La taranta è un ragno che abita le campagne del Salento e secondo antiche e popolari credenze mordeva, o meglio pizzicava (da ciò prende il nome la musica e il ballo della “pizzica”) i poveri contadini che mettevano il piede fra i sassi o l’erba.
    L’unico modo per guarire da questo morso, che provocava forti dolori e movimenti irregolari di tutto il corpo, era quello di danzare al ritmo della musica, al ritmo della pizzica. La pizzica nasce perciò come ballo “curativo” dal morso della taranta.

La Notte della Taranta è il più grande festival musicale dedicato alla pizzica, itinerante nel Salento in agosto, con serata conclusiva a Melpignano, dove suona l’Orchestra Popolare diretta da maestri concertatori del calibro di Stewart Copeland, Ambrogio Sparagna, Ludovico Einaudi e Goran Bregovic e il grande Pino Zimba al cui nome si attribuisce subito la pizzica salentina. Numerosi gruppi promuovono la pizzica nel mondo, come l’Officina Zoè, il Canzoniere Grecanico Salentino, i Ghetonìa, i Tamburellisti di Torrepaduli.

Storia della musica popolare salentina

  • Per conoscere e capire le origini di questi ritmi dobbiamo partire dagli anni ’60, quando l’emigrazione divenne un vero e proprio fenomeno di massa. Migliaia di salentini andarono in ogni dove alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita, allontanandosi dal loro contesto culturale di origine.
  • Nel frattempo avvennero due abbandoni importanti: il progressivo abbandono delle terre e l’abbandono del tarantismo. Insomma, il tarantismo venne condannato dalle nuove generazioni, sempre più attente alle nuove proposte culturali e sempre meno interessate ad apprendere dai padri le storie, i canti e i suoni della tradizione. Questi ultimi, preso atto di ciò, iniziarono un vero e proprio fenomeno di ritiro a vita privata, che tenacemente continuavano a cantare, a suonare, a raccontare storie, a produrre strumenti musicali, ma erano pochi e lo facevano per lo più in contesti privati e per passione. Grazie a queste persone iniziò il fenomeno della riscoperta.
  • Alcuni di questi giovani riscoprirono i canti in chiave politica, visto gli anni ’70 un periodo di movimenti, contestazioni, ideologie che ormai pervadevano le menti e i cuori di molti giovani: il comunismo e il socialismo.
    Insomma, da questa multiforme ed eterogenea congerie culturale, nacque, sull’onda del successo del Nuovo Canzoniere Italiano dapprima il Gruppo Folk Salentino, poi il Nuovo Canzoniere del Salento ed infine il Canzoniere Grecanico Salentino.
  • Tra gli anni ’80 e i primi anni del 2000 iniziarono i primi concerti di gruppi di musica popolare salentina anche fuori dal territorio pugliese, a motivo delle sempre più numerose richieste di musica etnica, poiché in tutta Italia iniziarono a fiorire festival di musica popolare, come la celebre Isola Folk di Bergamo, il festival di musica popolare di Forlimpopoli o il Pisa Folk Festival.

Il raggae salentino

Il Salento si è trovato al centro dell’attenzione turistica, per numerosi motivi. Anzitutto perché il percorso di riscoperta della musica popolare e delle tradizioni locali ha incuriosito numerosi studiosi, che si recavano in Salento per analizzare un fenomeno peculiarissimo: sagre, feste e piazze invase da gente desiderosa di suonare, cantare e riprendere vecchie musiche popolari. Dunque, sino a pochi anni fa, il turismo salentino era prevalentemente “etnico” e, comunque, indirizzato a conoscere le tradizioni locali.

Altro motivo che ha portato fama al Salento è legato alla musica reggae. Il reggae salentino nasce sul finire degli anni ’80, questa storia coincide con la storia di un gruppo di ragazzi (che poi diverranno i Sud Sound System) e del loro amore incondizionato verso la musica Reggae, in quella terra, il Salento, così lontana dai cosiddetti “circuiti” e allo stesso tempo così ricca di cultura e tradizioni.

Ma, come spesso succede, la storia del reggae salentino non è geograficamente circoscritta alla provincia di Lecce, essa infatti si intreccia con quella delle case occupate a Bologna, città dove la maggior parte dei componenti del gruppo ha risieduto per motivi di studio. Qui sul finire dell”88 i giovani salentini davano vita a mitiche apparizioni stradaiole sotto i portici di via Avasella 12 e nei locali occupati della neonata Isola Nel Cantiere.

Sempre a Bologna si apriva un’altra parentesi del reggae salentino: con Treble alla chitarra e voce, Gopher alla batteria e Giorgio Pizzi al basso, nascono nell’ottobre dell”89 i Rough Ryders, una band che fece il giro delle università che erano in occupazione a Bologna. Di loro resta un solo demo oggi introvabile (One Blood).

Si svilupperanno in seguito, altri gruppi di musica raggae in Salento come i Boomdabash, Mama Marias, Ghetto Eden e molti altri ancora.

Profili musicali

A seguito della riscoperta dei canti popolari salentini, la musica tradizionale del Salento ha continuato a raccontare storie e si sono formati negli anni numerosi gruppi di riproposta.

  • Sul profilo testuale, significativo è l’esempio del gruppo Aramirè (Compagnia di musica salentina), che hanno dato ampio risalto alle tematiche sociali attuali.
  • Un’artista cresciuta nella società contadina e successivamente maturata artisticamente e culturalmente, tanto da essere divenuta una sorta di sintesi tra evoluzione musicale e memoria, è Anna Cinzia Villani.
  • Sul profilo musicale, interessante è il progetto del gruppo Mascarimirì, che lega la pizzica-pizzica ad altre musicalità (gitane, orientali, dub, etc.). I Mascarimirì sono anche impegnati nel recupero delle sonorità tradizionali unendo la ricerca sonora alla critica della banalizzazione della musica popolare.
  • Sempre sul profilo musicale va dato risalto al gruppo Officina Zoè, che ha saputo evolvere la musica popolare salentina proponendo sonorità tradizionali, ma allo stesso tempo nuove.
  • Sul profilo musicale e testuale grande attenzione merita il Canzoniere Grecanico Salentino, fondato nel 1975 da Rina Durante. Il canto proposto è spregevole non solo per il testo, ma anche perché il video è stato girato nella sede dell’ACAIT di Tricase.
  • Una grande attenzione merita Mino De Santis, cantautore salentino originario di Tuglie, che ha saputo analizzare pezzi di vita, di usi e costumi mischiando sapientemente nel canto l’uso del dialetto e dell’italiano.
  • Infine un cenno merita lo showman Andrea Baccassino, di Nardò che ha scelto di raccontare storie verosimili, con testi divertenti e usando come base canzoni famose, ovviamente in dialetto.

Artisti salentini

Negramaro
Negramaro

Ancora una volta il Salento, terra di pizzica, ma anche di reggae, jazz e pop, si dimostra terra fertile per la nascita di novità musicali da esportare sul territorio nazionale e sono tanti i salentini divenuti famosi nel campo musicale.

  • Negramaro, gruppo salentino che prende il nome da vino e dal vitigno. Nel corso degli anni i successi per questa band pop rock italiana sono stati innumerevoli: hanno partecipato a kermesse di musica nazionale e internazionale, hanno visto adottare i loro brani come colonne sonore di film, documentari e spot televisivi; hanno inciso brani musicali nei Sati Uniti, sono stata la prima band italiana a tenere un concerto allo stadio San Siro di Milano.
  • Emma Marrone divenuto personaggio famoso tra il 2009 e il 2010, dopo la vittoria ad Amici. Emma è salentina ed è vissuta per la gran parte della sua vita ad Aradeo con i suoi genitori di origini salentine; lei stessa si sente e definisce leccese. A contribuire al suo successo è stata la vittoria al 62° Festival della canzone italiana di Sanremo, nel 2012, con il brano “Non è l’inferno”.
  • Dolcenera è il nome d’arte adottato da Emanuela Trane. Lei nasce a Galatina e vive a Scorrano in provincia di Lecce insieme ai genitori e al fratello minore. Il suo primo successo risale al 2003 con la vittoria della 53° edizione del Festival di Sanremo con il brano “Siamo tutti là fuori”.
  • Alessandra Amoroso, nata a Galatina e vissuta a Lecce, raggiunge il successo nel 2009 partecipando al talent show Amici di Maria De Filippi. Le capacità di Sandra, così la chiamano gli amici, sono subito evidenti ad artisti del calibro di Laura Pausini e Gianni Morandi i quali le manifestano la loro stima.

Molto spesso rami di ulivi, tralci di vite e fusti di fichi d’india nascondono vecchie cicatrici: ruderi abbandonati che manifestano, a noi che ci avviciniamo rispettosi, la fierezza di far parte della rossa e calda terra del Salento. Sono le masserie l’oggetto indiscusso della nostra memoria, la testimonianza di ciò che siamo, il pretesto per rimanere legati alle nostre radici del Salento.

Masserie in Salento
Masserie in Salento ©www.beborghi

Storia e funzione delle masserie salentine

La masseria, dal latino massa, ossia “insieme di fondi”, è un insediamento edilizio rurale tipico del XVI – XVII secolo, che ha rappresentato per lungo tempo il tipo di azienda (a carattere agricolo-pastorale) più diffuso in Puglia, diventando a pieno titolo espressione della cultura contadina locale.

Al di là dell’aspetto agricolo, il fenomeno masserizio è legato, senza ombra di dubbio, ad una funzione difensiva: dopo la caduta dell’impero bizantino, nel 1453, la penisola salentina divenne meta frequente di saccheggi e di incursioni piratesche. Nel corso del XVI secolo, per ovviare a tali attacchi, Carlo V d’ Asburgo decise di rafforzare la costa adriatica e ionica attuando un piano di difesa che portò alla realizzazione di torri e di mura intorno alle masserie che per questo vennero definite “fortificate”.

La “masseria fortificata”, è una struttura costruita in piena campagna e isolata dai centri urbani, con l’intenzione di tutelare l’incolumità dei suoi abitanti, e pertanto sempre protetta da una massiccia recinzione, il luogo ideale in cui difendersi dai pirati, dai saraceni e dai briganti che imperversarono nel Meridione d’Italia. Questo fenomeno è visibile su tutto il litorale adriatico salentino, da Brindisi fino a Otranto ed anche sul versante dello ionio, dal Capo di Leuca.

Si può dunque affermare con certezza che la nascita di questi complessi rurali è legata al contesto socio-economico del Mezzogiorno.

Architettura delle masserie del Salento

Le masserie furono realizzate tenendo conto di un certo gusto estetico ed architettonico, grazie alla maestria di artigiani e muratori che lavoravano la pietra, il carparo o il tufo. Al tempo stesso, si tratta di insediamenti costruiti in un’ottica di funzionalità, per rendere meno dura la vita tra i campi e quindi per alleggerire la fatica dei coloni, offrire soluzioni pratiche e garantire la massima fruibilità degli ambienti, in un perfetto equilibrio tra uomo e natura, tra il manufatto e il territorio.

Masserie in Salento
Masserie in Salento ©www.thelostavocado

Lo schema tipico della masseria in alcuni casi comprendeva una costruzione di tipo chiuso verso l’esterno e con le aperture tutte rivolte all’interno della corte o del grande cortile. Attorno al cortile si distribuivano diversi locali: l’abitazione del massaro, le stalle e i recinti per gli animali, le strutture destinate alla conservazione e alla lavorazione dei prodotti della terra e dell’allevamento ovvero stalle per i cavalli o per i muli nonché i locali per polli, conigli e volatili vari di allevamento. Altri locali servivano per il deposito degli attrezzi da lavoro e come ricovero delle carrozze padronali. Inoltre vi erano anche dei pozzi chiamate “pile”, cioè recipienti in pietra che contenevano acqua per il bucato, abbeveratoi e granai per le conserve.

Le stesse mura perimetrali, senza aperture, facevano da protezione contro intrusi e malintenzionati, permettendo anche una difesa eventuale contro assalti di briganti.
In genere una parte dell’edificio a scopo abitativo aveva uno o più piani alti nei quali abitava il “padrone” e la sua famiglia. I piani bassi erano adibiti all’uso abitativo dei contadini e come depositi delle provviste.  Nella maggior parte dei casi veniva costruita una cappella o chiesetta che serviva per le varie funzioni religiose.

Diversi tipi di masseria

Vi sono diverse costruzioni di masserie nel Salento:

  • a corte, la masseria viene costruita all’interno di mura che la racchiudono, difendendola dalle minacce esterne.
  • a tetto a trullo: case, pagliai hanno il tetto a trullo e sono di diversa grandezza. Alcuni esempi sono Masseria Ortolini e Masseria Ferrari (residenti a Martina Franca).
  • a copertura pignon: il tetto della casa è a pignon, tetto ripido e le costruzioni destinate alle mansioni sono a tetto a trullo.
  • a edificazione lineare: masserie che si caratterizzano per essere un´unica costruzione, con le abitazioni congiunte alle altre costruzioni.
  • a casino: costruzione che si sviluppa nel XIX secolo e che segna la distinzione più netta fra la casa del padrone e l’azienda (es. Luco, Mita).

Il Massaro

In questi sedimenti rurali inizialmente erano abitati dai contadini, i cosiddetti “massari” (responsabile del fondo agricolo), che dedicavano la loro vita alla coltivazione di prodotti necessari al loro sostentamento, ovvero coltivazione di grano, di cereali, alle olive, oltre all’allevamento del bestiame e alla produzione di latte e formaggio.

La masseria non era di proprietà del colono che vi dimorava e coltivava le terre circostanti, ma del latifondista che permetteva al contadino di soggiornarci con la sua famiglia, godendo di parte del raccolto.

Dal passato al presente: le masserie del Salento oggi

Dalla metà del XVII secolo, alcuni miglioramenti in ambito agricolo permisero di valorizzare ulteriormente l’ambiente rurale, determinando la nascita della masseria-villa in Salento.

Le masserie si arricchiscono, pertanto, di ricchi portali, di balconi e belvedere, di giardini e di decorazioni a stucco e con affreschi ornamenti che trasformano queste rurali e spartane strutture in piccoli gioielli di pregiata architettura luoghi di villeggiatura.

Oggi appaiono tra le strade statali o in mezzo alle campagne, con imponenza e dignità. Alcune sono state restaurate e talvolta destinate al turismo ospitando agriturismi, B&B o resort di charme, ma anche ville private dotati di tutti i comfort. Ambienti un tempo produttivi, i frantoi, le mangiatoie, i palmenti vengono restaurati per far riscoprire la cultura e la tradizione rurale ai turisti più attenti.

La rusticità diviene così un valore aggiunto del turismo. Altre, del tutto abbandonate, vivono una solitudine difficile e, forse, rischiosa, ma non priva di fascino, come quella di Monteruga. Un’immensa masseria nelle campagne di San Pancrazio, Salice e Veglie, una volta centro di un’intensa attività agricola, ed oggi abbandonata.

Dopo aver visitato la costa adriatica, ed essere giunti a Santa Maria di Leuca dove “il mar Ionio abbraccia quello Adriatico”, proseguiamo ora alla scoperta dell’incantevole costa ionica del Salento, fra spiagge paradisiache di sabbia bianca e mare cristallino, parchi naturali e riserve incontaminate, a differenza di quella Adriatica, principalmente di formazione rocciosa. Oltre 100 km di costa sabbiosa, dalle acque limpide e cristalline, ci attende in questo tour da Leuca sino a Punta Prosciutto.

porto cesareo
Spiagge di Porto Cesareo ©www.portocesareoesalento.com

Le spiagge più belle lungo la costa jonica del Salento

Tra le più belle spiagge della costa ionica del Salento rientrano senza dubbio quelle che fanno capo a Torre dell’Omomorto e Torre Marchiello (Castrignano del Capo), Torre Vado (Morciano di Leuca), Torre Pali (Salve), Torre Mozza e Torre San Giovanni (Ugento), Torre Suda (Racale). 

  • Torre San Giovanni, torre costiera suggestiva, con la sua alternanza cromatica a scacchi bianchi e neri, delimita idealmente una lunga spiaggia dai riflessi color smeraldo, tra le più amate sia dai turisti che dalla gente locale, che comprende anche il tratto di litorale che abbraccia la marina di Torre Mozza. Da qui ci si può imbattere nelle cosiddette “secche di Ugento” bacini che rappresentano un’altra straordinaria riserva naturale.

Mandorli, fichi d’ india e ulivi secolari accompagnano strade delimitate da muretti a secco che punteggiano la costa e conducono fino a Gallipoli definita anche la “perla dello Ionio“, con la parte antica della città arroccata su un’isola, che trasuda l’odore del mare da ogni pietra di cui è composta e le cui chiese sono tutte affacciate sul mare, quasi a sorvegliare sulle sorti dei pescatori.

Gallipoli
Gallipoli ©Isaac74 via Canva
  • Qui troviamo la marina di Mancaversa, un tratto costiero che per oltre quattro chilometri corre abbracciando la zona de Li Foggi sino alla Punta del Pizzo, comprendendo nel mentre Punta della Suina. Un paradiso per gli amanti della natura selvaggia, da scoprire e godere soprattutto nei periodi di bassa stagione. Suddivisa da un isolotto in due piccole baie, Punta della Suina è veramente una cornice da sogno alle vacanze perfette.
  • Baia Verde è considerato uno dei paradisi dei bagnanti, oltre a essere il cuore pulsante dell’intensa movida gallipolina. Le spiagge si aprono su un arenile bianco orlato da un’acqua dai riflessi color smeraldo, che danno il nome alla baia e affiancano il Parco naturale regionale Punta Pizzo.
  • C’è un tratto di costa, ancora, che sembra mutare con la velocità con cui cambia il vento. Parliamo di quella che abbraccia località come Rivabella, Padula Bianca e Lido Conchiglie, anch’esse considerate senza dubbio tra le più belle spiagge della costa ionica. Rivabella è un alternarsi di dune, sabbia bianchissima e cespugli di piante tipiche della macchia mediterranea, sino a raggiungere Padula Bianca con i suoi vari stabilimenti balneari che si snodano sino a Lido Conchiglie, il punto in cui la spiaggia cede il passo a una scogliera che resta comunque agevole e poco frastagliata.
Santa Maria al Bagno
Santa Maria al Bagno ©diegofiore via Canva

Nella zona di Nardò citiamo Santa Maria al Bagno. Famosa per le sue terme e per il porto romano, è una marina dal retrogusto vintage, dominata da antiche ville di fine Ottocento. Questa offre ai visitatori una deliziosa spiaggetta incastonata in una costa prevalentemente rocciosa, accessibile dai gradini che si aprono nella piazzetta del borgo. La spiaggetta è il regno incontrastato di famiglie con bimbi anche piccoli, che possono giocare in tutta tranquillità e senza troppo caos. 

C’è un’altra spiaggia, prevalentemente dominata da scogli ed è a Santa Caterina, in cui convivono un piccolo stabilimento balneare e una porzione di spiaggia libera. Essa è protetta dalla “Torre dell’Alto” che la domina dal «dirupo della Dannata» e dall’omonima torre del XVII secolo.

Notevole in questa zona il Parco naturalistico di Porto Selvaggio.

Il comune di Nardò, ancora, offre una spiaggia di sabbia fine, denominata la spiaggia di Sant’Isidoro. Inoltre c’è un’altra baietta, ai piedi di Torre Squillace, una delle tante torri di avvistamento che punteggiano le coste salentine.

Tra le mete predilette dai turisti, risalendo verso la parte nord della costa ionica, c’è Porto Cesareo, considerata alla pari per bellezza di diverse mete caraibiche, con il suo litorale lunghissimo, 17 chilometri di spiagge attrezzate guardate a vista da un arcipelago di isolotti, il più noto dei quali è l’Isola dei Conigli.

La costa Ionica del Salento è tra le più belle mete estive per chi ha voglia di una vacanza all’insegna del mare, divertimento e buona cucina.

La costa adriatica, ed in particolare quella del Salento, rappresenta un autentico scrigno di tesori dell’inestimabile valore; dunque un’occasione unica tutta da scoprire, soprattutto in estate quando viaggiate in macchina, nel nome della libertà e della spensieratezza.

Le vacanze estive sulla costa adriatica del Salento possono soddisfare pienamente turisti di ogni tipo, dalle coppie alle famiglie con bambini, dai giovani in cerca di divertimento a chi vuol semplicemente rilassarsi.

Il Salento, come noto, si affaccia sia sul mare Adriatico che sul mare Ionio, ed è proprio per tale ragione se questo lembo di Puglia è considerato un territorio davvero unico nel suo genere. Sbilanciarsi su quale sia la più bella costa salentina, se quella adriatica o quella ionica, è davvero impossibile, dal momento che entrambe vantano tantissime località mozzafiato.

Non vi resta altro da fare, dunque, che prepararvi al vostro viaggio in auto e scoprire quali sono i migliori itinerari del Salento!

Lungomare di Otranto
Lungomare di Otranto ©EunikaSopotnicka via Canva

Le località balneari da non perdere lungo la costa Adriatica del Salento

Acque trasparenti, profumi indescrivibili di macchia mediterranea, grotte marine e torri costiere, sono solo alcuni degli elementi più suggestivi che potrete trovare partendo dalle marine di Lecce, come Torre Rinalda (è la marina più a nord che prende il nome dall’omonima torre di fattura spagnola, oggi ridotta ad un rudere), Torre Chianca, Frigole (si distingue per le sue dune sabbiose e il bacino di Acquatina) e San Cataldo (ospita infine un’area protetta, la Riserva Protetta del Cesine).

Spostandoci a Sud troviamo le marine di Melendugno, San Foca, Torre dell’Orso e Sant’Andrea ognuna di loro presenta una particolarità.

Da Otranto sono facilmente raggiungibili le più belle spiagge del Salento, vicinissima è Baia dei Turchi, così chiamata per un evento tragico e cruento, lo sbarco dei Turchi durante l’assedio di Otranto e causa della successiva dominazione. La baia è una piccola spiaggia di sabbia finissima dove il mare è incredibilmente cristallino, un meraviglioso paesaggio naturale che il FAI nel 2007 ha dichiarato essere fra i primi 100 luoghi da tutelare in Italia. E’ stata dichiarata inoltre sito d’importanza comunitaria (SIC) ed è facente parte dell’Oasi protetta dei laghi Alimini.

Torre dell'Orso
Torre dell’Orso ©tommasolizzul via Canva

Le località culturali lungo la costa Adriatica

  • Torre Sant’Andrea, località caratterizzata da una costa prevalentemente rocciosa, ricca di grotte e piccole insenature, prende il nome dalla torre, dove è presente il faro, che domina sul piccolo porticciolo. Grazie anche al suggestivo spettacolo di luci e colori tra mare e cielo, Torre Sant’Andrea è amatissima dai turisti e molto frequentata soprattutto nelle calde serate estive, potendo anche contare sulla presenza di diversi locali che la rendono una delle località della movida della costa Adriatica.
  • Otranto è un piccolo paese situato nel punto più ad est d’Italia, antico capoluogo della terra, che si affaccia sul mediterraneo con il suo fascino orientale, e il suo mare limpidissimo; superato il centro abitato si giunge ad uno degli scenari più spettacolari ed incontaminati del Salento, tra la lingua bianca di punta Facì e il promontorio di capo d’Otranto (dominato dal faro di Punta Palascia, punto più a est d’Italia) si estende la Baia delle Orte, con una serie di piccole cale sabbiose protette dalla pineta. Nelle cui vicinanze si trovano le “terre russe”, vecchie cave di bauxite abbandonate trasformatesi in laghetti dai colori incredibili.
Faro di Punta Palascia
Faro di Punta Palascia ©staraldo via Canva
  • A pochi chilometri a sud di Otranto, si erge un’antica torre di avvistamento: la Torre del Serpe, una delle tante disseminate in tutto il Salento, costruite per avvistare subito la minaccia saracena. Il suo nome è legato ad un’antica leggenda, che avvolge il sito di un velato mistero e fascino avvolgente.
  • Proseguendo a Sud, si consiglia un tuffo nella piccola baia di Porto Badisco. Chi si reca qui in estate, può godersi un paesaggio unico: la baia è ricoperta dal manto giallo delle ginestre che spuntano sulle rocce, specchiandosi nel mare verde-blu, terso e cristallino. A Badisco potrete anche gustare il sapore impagabile dei ricci di mare, venduti sui banchetti o nelle trattorie tipiche del piccolo borgo.

Le grotte più belle lungo la costa Adriatica

  • San Foca ospita la famosa Grotta degli Amanti, secondo la leggenda così chiamata perché due giovani vi si rifugiarono per ripararsi dal freddo vento di tramontana. San Foca è un pittoresco centro di pescatori che regala un panorama suggestivo: all’orizzonte, quando il cielo è limpido, è possibile scorgere la sagoma delle montagne dell’Albania, distante circa 72 miglia.
  • Torre Dell’Orso è una località amata da numerosissimi visitatori che ogni anno la scelgono per trascorrere le proprie vacanze. A sud della scogliera è presente la grotta di San Cristoforo e ancora più a sud, a poca distanza dalla spiaggia, si incontrano due faraglioni, detti “Le due Sorelle”. Secondo la leggenda il nome deriverebbe da due sorelle che si tuffarono da una rupe nel mare in tempesta perdendo la vita e gli dei le tramutarono in faraglioni, affinché potessero ammirarne la bellezza in eterno.
  • A soli 7 km si entra nel territorio di Castro, in una cornice suggestiva tra il verde degli ulivi e un mare incontaminato, con una costa frastagliata, con insenature e gelide sorgenti. Poco prima dell’abitato le famose grotte di Castro tra cui la famosa grotta Romanelli al cui interno sono presenti graffiti a tinta rossa, le più antiche rappresentazioni umane nel campo delle arti figurative.
  • Dopo alcuni chilometri Santa Cesarea Terme, piccolo comune arroccato sulla costa, famoso per le stazioni termali e le qualità benefiche delle sue acque, e che nel suo agro comprende 16km di costa ricca di folte pinete e di acque profonde e smeraldine, numerosi faraglioni e calette (delle quali la più importante è quella di porto Miggiano). Qui la grotta più famosa è sicuramente la “Grotta della Zinzulusa” il cui nome deriva dal dialetto “zinzuli” cioè gli stracci, le particolari formazioni calcaree che ‘pendono’ dal soffitto.

Santa Maria di Leuca: dove si conclude il viaggio

Santa Maria di Leuca
Santa Maria di Leuca ©balatedorin via Canva

Il viaggio si conclude a Santa Maria di Leuca, situata precisamente nel vertice di quello che è il “tacco d’Italia“, e perciò chiamata anche “de finibus terrae”, dove da sempre si crede che il Mare Adriatico e il Mar Ionio si incontrino. Perla dell’estremo lembo d’Italia, si adagia in un tratto di costa alternato da scogliere e piccole calette di sabbia, con grotte di grande interesse storico e naturalistico e i fondali marini che sono un vero e proprio paradiso per il turismo subacqueo.

Un entroterra prodigo di storia e cultura, di paesaggi splendidi da ammirare, di sontuose e colorate ville ottocentesche che declinano verso il lungomare. Leuca sorge sopra un promontorio su cui si ergono la basilica e il faro, e da cui si può ammirare dall’alto la meravigliosa costa e godere dello spettacolo del mare. Qui al confine della terra, si guarda verso l’orizzonte, si sta in silenzio e si ammira l’infinito.

Tutta la costa adriatica del Salento è un susseguirsi di splendide località balneari che si concentrano in meno di 100 km. Un tour in auto è la soluzione migliore per avere piena autonomia negli spostamenti e non perdere quei luoghi altrimenti non raggiungibili con i mezzi pubblici.

È proprio nel basso Salento, esattamente a Presicce che troviamo il maggior numero di frantoi ipogei scavati nella pietra, detti trappeti. Qui, vi era un’intensa produzione di olio d’oliva, principale fonte economica si dai tempi antichi. Il frantoio o “trappeto” deriva dal nome che gli antichi romani davano alla macchina per la molitura delle olive per la separazione del nocciolo dalla polpa.

frantoio-ipogeo nel Salento
frantoio-ipogeo nel Salento

Quando nascono e come funzionavano

  • La loro nascita è databile ai secoli XI-XIII; i primi furono costruiti sulla serra di Pozzomauro. La tipologia dei trappeti di quella zona è semplice essendo scavati nella roccia tufacea e pavimento in terra battuta.
  • A partire poi dall’800 i frantoi ipogei furono man mano dismessi, soprattutto a causa dell’evoluzione industriale e sostituiti da frantoi semi ipogei o in elevato.
  • A partire dagli anni ’90 alcuni di essi, sono diventati meta turistica attraverso alcune bonifiche e ristrutturazioni; enti pubblici e organismi di tutela si sono adoperati per il recupero di questi veri e propri reperti.

Chiamati anche “miniere d’oro verde”, producevano pregiato olio d’oliva sin dai tempi più antichi, a partire dai frutti esclusivi dei secolari ulivi. Motivo per cui le produzioni avvenivano nella roccia è dato dal fatto che l’economia ed il commercio dell’olio, prese il posto di quella del grano; inoltre, l’ambiente sotterraneo assicurava una migliore conservazione dell’olio e lo teneva al riparo da sguardi nemici.

La squadra di operai che lavorava al processo di questo bene pregiato era chiamata “ciurma“ o anche “trappitari”, che operavano sotto la guida del supervisore detto “nachiro”. La ciurma o trappitari, lavorava per tutto il periodo tra novembre e maggio, vivendo all’interno del frantoio, senza mai allontanarsi, se non per le feste più importanti.

Un ruolo fondamentale era dato anche dagli animali; questi ultimi, erano sistemati nelle stalle. In un’altra stanza, erano collocate le “sciave” (deposito delle olive), prima che fossero schiacciate dalla ruota (fatta girare da un mulo bendato) e poi pressate.

Come erano strutturati i frantoi ipogei?

Ogni frantoio è costituito da ambienti organici e funzionali con notevole interesse estetico e architettonico: ambienti di deposito, di soggiorno, di lavoro, di cucina, dormitori e la stalla. Lo schema costruttivo era sempre lo stesso; attraverso una scala scavata nella roccia e ricoperta con una volta a botte si accedeva ad una grande stanza principale, dove si svolgevano le operazioni di macinatura e spremitura.

Frantoio Ipogeo a Specchia
Frantoio Ipogeo a Specchia ©www.repubblica.it

La pietra molare era appoggiata su una piattaforma circolare di calcare duro; intorno a questa parte centrale si dislocavano una serie di piccole stanze comprendenti le stanze destinate al riposo degli operai, il deposito degli attrezzi, la stalla per gli animali e i locali la conservazione dell’olio.

Questi ambienti erano privi di luce diretta, tranne per uno o due fori al centro della volta principale. In questi ambienti il lavoro per la molitura era molto lungo; andava da novembre fino a dopo Pasqua.

Ma perché i frantoi si trovavano sottoterra?

Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nel sasso a quello costruito a pianterreno era la necessità del calore. L’olio diventa solido verso i 6°C. Affinché, quindi, la sua estrazione sia semplificata, è opportuno che l’ambiente in cui avviene la spremitura sia tiepido e costante. Ciò poteva essere assicurato solo in un ambiente sotterraneo riscaldato da lumi accesi giorno e notte, dalla fermentazione delle olive e soprattutto dal calore prodotto dalla fatica di uomini e animali.

Oltre a questo non sono da sottovalutare i motivi economici; il costo della manodopera per ottenere un ambiente scavato, era relativamente modesto perché non richiedeva l’opera edilizia di personale specializzato, ma solo forza di braccia, non implicando spese di acquisto e di trasporto del materiale da costruzione.

Il ruolo dei frantoi ipogei nel Salento oggi

La presenza dei trappeti nei vari centri del Salento è storica.

  • A Gallipoli, ospitato nel sottosuolo del Palazzo Granafei nel centro storico, è visitabile il frantoio del 1600.
  • A Noha vicino Galatina, davanti il portone del Castello si trova il frantoio del Casale; un ambiente di 300mq che ospita un sedile scavato nella roccia con una volta ricoperta di stalattiti.
  • Ma è Presicce ha detenere il primato grazie all’alto numero di frantoi ipogei nati fra ‘700 e ‘800. Oltre 30 frantoi ipogei, nascosti sotto la piazza principale producevano olio esportato in tutti i mercati d’Europa.

I frantoi ipogei nel Salento sono testimonianze di una millenaria civiltà oltre a rappresentare una parte importante della cultura economica e sociale del territorio.

Il Salento è bello non solo d’estate; ogni periodo dell’anno ci racconta qualcosa di questa terra ricca di eventi e tradizioni antichissime, tutte da scoprire. Se sei in vacanza nel Salento a gennaio e ti piacciono le feste tradizionali, non perdere l’occasione di partecipare ad una delle feste più caratteristiche al mondo: la “Focara”. La Focara di Novoli è l’appuntamento annuale più atteso dell’inverno salentino, intriso di folklore, religiosità popolare con una straordinaria cornice di musica, arte, spettacolo e enogastronomia.

Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it
Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it

Le origini della festa

L’evento ha origini antichissime, come testimonia anche il Museo del Fuoco di Novoli, inaugurato nel 2015, che racconta l’importanza che rivestiva il fuoco per la comunità contadina. In questa data, infatti, in molti centri salentini, si festeggia in un modo particolare il fondatore del monachesimo orientale, protettore degli animali e guaritore dell’herpes zoster, comunemente detto “fuoco di Sant’ Antonio”. In onore al santo ogni rione innalza il suo falò fatto di tralci di vite appena potati che nel Salento prendono il nome di “franzuie” o anche “sarmente”. All’imbrunire della festa, ben presto diviene luogo di abbondanti grigliate rionali.

Preparazione della Focara di Novoli

La Focara di Novoli è il falò più spettacolare dell’intero Mediterraneo con una base di 20 metri di diametro e un’altezza di 25, formato, pare, da almeno 80.000 fascine di tralci di vite raccolte dopo la pota delle vigne. La magia del fuoco attrae tutti, circa 200.000 sono le presenze in attesa del grande evento, numeri che danno la dimensione di quanto sia importante la manifestazione che si stringe attorno a una ritualità che affonda le radici nella cultura popolare contadina, supportata da una religiosità particolarmente sentita.

Il festival, organizzato dalla Regione Puglia e dai comuni di Lecce e Novoli, con la collaborazione di privati, è bene della cultura immateriale della Puglia. Essa partecipa alla catalogazione Ministeriale per il riconoscimento dall’UNESCO come bene del patrimonio intangibile dell’umanità.

La Focara di Novoli viene preparata a partire dai primi di dicembre, mediante il trasporto dei tralci di vite, le celebrazioni culminano il 16 e il 17 gennaio con l’accensione della Focara, ma la festa inizia ufficialmente all’alba del 7 gennaio, quando i contadini prendono ad accatastare le fascine di vite, e finisce il 18 gennaio con la “festa te li paesani”.

Cosa succede durante l’evento?

Durante la mattina della Vigilia della festa, sulla cima della pira, viene issata l’immagine del Santo con il rito della “bardatura”. Il parroco, in presenza delle autorità civili e militari, benedice la Focara, dando inizio ai festeggiamenti.

Il momento clou dello spettacolo è l’accensione della Focara (16 gennaio), tramite uno spettacolo pirotecnico, con una stupenda serie di fuochi d’artificio. Una lunghissima miccia viene portata dall’ingresso della chiesa alla cima della Focara, finché l’ultima serie di fuochi accende la catasta di legna nel tripudio generale.

Focara di Novoli
Focara di Novoli ©www.focaranovoli.it

Ogni anno i costruttori della Focara di Novoli si impegnano a variarne la forma, lasciando a volte un varco centrale, chiamato “la galleria”, che durante la processione è attraversata dal corteo che accompagna la statua del santo.

Musica, performance artistiche, mostre di pittura e fotografia, appuntamenti e mostre enogastronomiche, presentazioni di libri, incontri e dibattiti animano l’evento e lo ammantano di un elevato spessore culturale, capace di reinterpretare in modi sempre innovativi e singolari il rituale, motivo di orgoglio per tutto il Salento.

All’insegna della musica intorno al fuoco, si è negli anni consolidato il Focara Festival che ha visto sfilare sul palco artisti di riconosciuta fama. Un esempio sono Vinicio Capossela, Eugenio Bennato, Caparezza e Enzo Avitabile.

La festa continua nei giorni successivi con altri riti importanti tra cui la benedizione degli animali, la messa solenne in onore del Santo, e la processione. La benedizione degli animali è un momento molto importante poiché, trattandosi di un popolo di origine contadina ed essendo Sant’Antonio di origini umili, veniva considerato come il protettore degli animali.

La messa

Grande affluenza e partecipazione si hanno durante la messa in onore del Santo Protettore durante la quale vengono distribuiti i “panini di S. Antonio”, che hanno, secondo la tradizione, il potere di portare guarigione fisica e spirituale.

Al termine della messa ha inizio la processione di Sant’Antonio con la statua del Santo, portata a spalla dai devoti seguiti dalla folla di fedeli.

La processione ha subito con il passare del tempo alcune modifiche. Infatti, anni addietro, moltissime persone, compivano l’intero tragitto della processione scalzi, probabilmente come segno di riconoscenza per una grazia ricevuta. Inoltre tenevano in mano dei grossi ceri, formando la cosiddetta ‘nturciata (intorciata). Durante la processione vi era l’usanza di accendere la cosiddetta strascina, cioè una lunghissima batteria di fuochi artificiali.

La processione attuale si conclude con il ritorno della statua del Santo nella pizza dove viene accolta da coreografiche bengalate, al termine delle quali la statua fa ritorno in chiesa e viene collocata su di un trono ornato con addobbi floreali.

Gastronomia tipica durante la Focara di Novoli

Intorno alla Fòcara, tra musica e danze, l’area live sarà tutta da gustare con i prodotti tipici locali.

Tradizione vuole che durante i festeggiamenti del 17 gennaio, giorno della festa del Patrono, siano banditi dalla tavola sia la carne sia i latticini. Si pasteggia a base di pesce, tanto che in occasione dell’evento il paese si dota di un eccezionale mercato del pesce. Caratteristica è la zuppa di baccalà con gli gnocchi e la scapece di pesce, una deliziosa marinata d’aceto condita con zafferano e pan grattato.

A completamento di pranzi e cene, le tavole si ornano dei caratteristici piatti salentini, come pittule, purciddhruzzi e cartiddhrate. Il tutto é accompagnato dalle eccellenze enologiche locali, il Moscato e il Negroamaro. Le persone che si radunano attorno al falò, si riscaldano al suono della pizzica o a gustare un panino cu li turcinieddrhi.

Quello della Focara di Novoli è davvero un appuntamento unico, incantevole e magico. Tutto ciò è reso possibile grazie all’unione di un elemento primordiale quale è il fuoco e la tradizione popolare salentina.

Se hai deciso di organizzare una vacanza nel Salento in inverno, il mio consiglio, perciò, è quello di non lasciartelo sfuggire!

Le liame salentine sono edifici rurali, con pianta quadrangolare o rettangolare con volta a botte. I muri perimetrali delle liàme sono costruiti con pietra a secco, mentre la copertura con volta a botte è realizzata attraverso dei blocchi di pietra tufacea. (“pièzzi de càrparu”).

Liame
Liame ©www.dimoranelsalento.it

Funzione delle liame salentine

Costruiti per fungere da magazzini di attrezzi o da ricoveri temporanei, oggi trasformati in seconde case, in deliziosi eremi per amanti della pace assoluta e della natura. Queste abitazioni suggestive, tipiche del Salento e della Puglia più in generale, disseminate nelle campagne, risalgono all’anno 1000, come le pajare (che hanno invece la pianta circolare). Nella cultura contadina che ormai il Salento si è lasciata alle spalle, esse erano l’ambiente ideale per essiccare la maggior parte dei frutti che questo lembo di terra donava: dai fichi alle fave, dalle mandorle ai noci, ecc.

Infatti queste costruzioni permettevano una terrazza più spaziosa di quella del trullo, per diversi usi, come essiccare “le fiche”, per cui il termine liama deriva dalla loro ampia terrazza (in effetti nel dialetto salentino “liama” = terrazza).

I tetti di queste dimore, testimonianze di tempi remoti, spesso erano piatti e intonacati con una malta particolare di colore bianco così come le pareti. Si tratta di abitazioni semplici e povere realizzate con materiale facilmente reperibile sul posto e nascono con lo scopo di ospitare per brevi periodi i contadini impegnati nei lavori dei campi.

Tecniche di costruzione

Il loro carattere originale si esprime attraverso la tecnica e il materiale utilizzati per costruirle. Le pietre reperite in aperta campagna venivano sistemate a incastro senza l’ausilio della malta. La copertura, come detto era quella della volta a botte, generata con blocchi di tufo.

Risultato finale?

Un ambiente unico privo di finestre, all’esterno una piccola scala per consentire di raggiungere il tetto. Le case con le volte a stella o a spigolo sono decisamente più calde d’inverno e più fresche d’estate. Il merito è della pietra e della particolare conformazione del soffitto che diffonde il calore in modo più uniforme, non disperdendolo.

Sono costruzioni molto frequenti nel territorio, sia nelle campagne sia nelle marine di Peluse e Torre Pali.

Viaggiando per il Salento è ancora possibile trovare le tracce lasciate dagli antichi popoli che hanno reso questo angolo d’Italia un luogo incantevole e indimenticabile. E non si può, passeggiando, non soffermarsi a notare le interminabili costruzioni perfette e allineate. Uno stile architettonico unico, una tecnica costruttiva secolare, giunta fino ad oggi grazie al lavoro degli antichi maestri custodi della tradizione.